Viaggio nella moschea di Alagie, il 21enne che in un video ha giurato fedeltà all’Isis L’imam: «Per noi il terrorismo è il male»

di Danio Gaeta
C’è un palazzo semidiroccato, l’unico simbolo di modernità è un’antenna parabolica che spunta dal balcone al primo piano. Giù, in un seminterrato, una scaletta porta ad una grande sala sulle cui pareti ci sono segnati gli orari della preghiera e qualche cartello con frasi scritte in arabo. In un angolo, poco prima del portoncino di ingresso, c’è uno scaffale arrugginito con sopra, adagiate in modo ordinato, decine di scarpe.
E poi c’è un ragazzo di colore, avrà vent’anni e indossa una tuta grigia con il cappuccio; il suo compito è quello di far accomodare nella sala grande gli uomini che di volta in volta arrivano. E’ timido, si limita a fare strada e a indicare con la mano la direzione della scaletta. E’ quasi mezzogiorno e di uomini ne arrivano tanti: indossano il thawb, altri sulla testa portano il kufi, altri ancora, i più giovani, hanno jeans stracciati e magliette fuorimoda. Vengono tutti per la preghiera pubblica del venerdì che si tiene in questo angolo di Africa nascosto in via del Mare.
Ma qui l’Africa non c’entra: via del Mare èuna lunga lingua d’asfalto sporca di sabbia che attraversa il sobborgo di Licola. Da un lato è Giugliano, dall’altro è Pozzuoli: vecchi palazzoni, qualche villetta che si affaccia direttamente sul mare e strutture alberghiere dal colore indecifrabile perché ‘mangiato’ dalla salsedine. Gli italiani sembrano in minoranza e si mescolano ai tantissimi immigrati che vivono nei Cas (centri di accoglienza straordinaria) della zona. E soprattutto non fanno più caso al flusso di persone che entra nella moschea di via del Mare. «Il venerdì è un giorno di preghiera – dice una signora indicando con la mano il luogo di culto – e qui si affolla. Non danno fastidio, sono bravi ragazzi». Nella sala grande, tra decine di uomini raccolti in preghiera, Alagie Touray non c’è. Il 21enne del Gambia è stato arrestato con l’accusa di partecipazione all’organizzazione terroristica denominata Islamic States o Daesh. Semplicemente Isis. Su di lui gli inquirenti hanno alcuni video girati su Telegram in cui dice di essere «in missione», ma soprattutto hanno la registrazione del giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi: il califfo dell’autoproclamato Stato Islamico.
Alagie in questa moschea di via del Mare ci andava ogni giorno, anche più di una volta.
Come emerge dagli atti dell’inchiesta in cui è coinvolto, il 21enne «è un fervente musulmano», al punto che sulla fronte gli è spuntata anche la zebiba: la macchia tipica di chi prega per diverse ore. Ma di Alagie, nella moschea di via del Mare, nessuno ne vuole parlare. Le parole Isis e terrorismo le conoscono, ma cercano di schivarle.
Mentre un ragazzo dice di non «capire bene l’italiano», un altro spiega che l’unico che si può esprimere è l’imam del posto: un giovane alto quasi un metro e novanta con la barba folta. Si chiama Mohamed Mahmud, arriva dal Ghana e vive a Giugliano da quasi 12 anni. Mohamed, la guida spirituale, è gentile, sorride e risponde. «No, questo ragazzo non lo conosco – ripete più volte allargando le braccia – ho letto dai giornali che frequentava questa moschea, che lo hanno arrestato sette giorni fa qui fuori. Non ne so niente». «Qui siamo a Giugliano, ho letto che abitava a Pozzuoli, non saprei riconoscerlo», ribadisce. Poi, però, quando la discussione si sposta sull’Isis e sul terrorismo di matrice islamica Mohamed si fa serio. «Queste sono cose sbagliate – ha detto – cose che mettono in cattiva luce tutti noi musulmani. Noi in questo luogo preghiamo e cerchiamo di aiutare i tanti fratelli in difficoltà. Insegniamo solo la fede in Allah. Il terrorismo è il male. Noi abbiamo i numeri di telefono delle forze dell’ordine, se qualcuno sbaglia, segnaliamo».
Alagie il terrorismo non lo ha conosciuto nella moschea di via del Mare a Licola, ma quando era ancora in Gambia. Il 21enne sa bene cosa è l’Isis e conosce altrettanto bene il califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Lo racconta stesso lui. «Sia i musulmani che i non credenti sanno bene cosa è l’Isis – ha detto il ragazzo interrogato dagli inquirenti subito dopo il fermo –  quel video (il giuramento di fedeltà al califfo, ndr) l’ho fatto per gioco e ho sbagliato. Già nel mio paese un amico mi diceva che mi avrebbero pagato». Poi, però, Alagie dice altro. Non parla più di uno scherzo, e agli inquirenti spiega di un contatto libico pronto a pagarlo 1500 se avesse diffuso il giuramento. Lo stesso contatto che gli avrebbe chiesto – secondo quanto emerge dall’ordinanza – di «prendere una macchina e di schiantarsi contro la folla».
Questo non è più un gioco: è l’ombra del terrorismo islamico che si allarga sull’Europa occidentale. Anche a Licola: un angolo di Italia che ricorda molto da vicino l’Africa.

sabato, 28 Aprile 2018 - 14:45
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