Da medico stimato agli affari coi Lo Russo Le intercettazioni che inchiodano D’Ari L’inchiesta che scuote la ‘Napoli bene’

Dia
Operazione della Dia
di Manuela Galletta

Dalla sala operatoria al timone di tre noti ristoranti della città di Napoli. Un giorno prima medici, il giorno dopo imprenditori. E il giorno appresso ancora vittime di un’estorsione, poi schiacciati dai debiti (anche ereditati) della precedente gestione dei locali che avevano rilevato, nonché confidenti del cognato di un boss della camorra e loro complici nel riciclaggio di denaro sporco nelle attività di ristorazione rilevate.
La storia di Luigi e Antonio D’Ari, medico anestesista il primo e chirurgo plastico il secondo (in servizio presso cliniche di Chiaia e del Vomero), passa attraverso le 433 pagine di ordinanza di custodia cautelare a firma del gip Emilia Di Palma del Tribunale per effetto della quale entrambi si ritrovano in prigione. Riciclaggio dei soldi della camorra (quelli dei Lo Russo ed in particolare del malavitoso, oggi pentito, Mariano Torre) nelle attività di ristorazione che avevano rilevato. Nonché favoreggiamento nei confronti dei fratelli Marco, Massimo e Carmine Iorio. Favoreggiamento nei confronti dei tre noti imprenditori partenopei per aver rilevato tre dei loro ristoranti (Donna Regina, Pizza Margherita e Regina Margherita) nel periodo in cui gli Iorio erano detenuti per via del sospetto (poi spazzato via da una sentenza di assoluzione) di aver riciclato un milione e mezzo di euro del boss Salvatore Lo Russo di Miano nelle loro attività. Favoreggiamento per aver rilevato quei locali che erano posti sotto sequestro e affidati a un amministratore nominato dall’autorità giudiziario allo scopo – così come suggerito a Luigi D’Ari dal defunto Antonio Iorio (padre degli imprenditori) – di evitare che altri imprenditori potessero metterci sopra le mani. Favoreggiamento perché – sempre in accordo col defunto Iorio – quei locali sarebbero dovuti tornare nelle mani degli Iorio non appena fossero stati scarcerati e assolti, cosa accaduta ad eccezione di ‘Pizza Margherita’ rimasta a D’Ari. Un’accusa precisa – costruita grazie ad un lungo sfogo di Luigi D’Ari catturato da una ‘cimice’ – dietro la quale però si staglia uno scenario di camorra che rende l’intera storia assai intricata. Luigi D’Ari, durante la gestione dei locali, entra in contatto con Domenico Mollica, cognato del boss (che si era già pentito) Salvatore Lo Russo di Miano. In un interrogatorio reso dinanzi alla polizia a ottobre dello scorso anno, D’Ari spiega di aver conosciuto Mollica al ristorante Donna Regina e aggiunge che a presentarglielo fu Vincenzo De Gaetano, che aveva lavorato nel locale degli Iorio. Specificando inoltre che De Gaetano gli rappresentò che tra gli Iorio e i Lo Russo ci fossero dei rapporti per via di un riciclaggio di denaro, una storia che processualmente è stata accertata essere non vera.
Se il rapporto con Domenico Mollica (anche lui finito in carcere ieri mattina) sia nato così come D’Ari disse, non è dato saperlo. Né è certo che le cose stiano così, considerato che in quell’interrogatorio il medico anestesista non fece mai menzione del (presunto) accordo con Antonio Iorio per rilevare i tre ristoranti, fornendo invece altre spiegazioni sulla scelta di buttarsi nella ristorazione. Quel che è certo è che il rapporto tra Mollica e D’Ari esiste. D’Ari arriva a chiedergli dei soldi per fare fronte alle insormontabili spese di gestione del ristorante: si era ritrovato a gestire il debito di un milione di euro ereditato per il mancato pagamento di alcuni fornitori. Finendo poi con il prestarsi a riciclare nell’attività i soldi di Mariano Torre, con l’accordo – onorato – di dare un mensile a sua moglie nel periodo in cui il camorristica era detenuto. Non solo: D’Ari partecipa anche a discorsi di camorra, a valutazioni che Mollica fa su alcuni processi che vedono esponenti dei Lo Russo coinvolti, arrivando persino a chiamare per nomi o nomignoli i principali protagonisti della stagione di sangue di Miano in seguito al ritorno in libertà (nel 2015) di Carlo Lo Russo. Emblematica è il dialogo in cui Mollica fa riferimento alla scelta – pura strategia processuale – di Mariano Torre (all’epoca non ancora pentito) di ammettere il reato di omicidio (di Pasquale Izzi) che lo vedeva imputato allo scopo di evitare l’ergastolo. «Per prima cosa, ha fatto un pezzo di lavoro…  – osserva Mollica – gli ha detto fai così: “io mi dissocio, chiedo scusa alla famiglia, piglia venti anni!”». D’Ari, che è un medico, partecipa alla discussione: «Eh, ma pure sono belli anni …». Mollica aggiunge: «Ahe! Gigino ma è meglio che esce l’ergastolo? perché questi domani gli danno l’ergastolo …». D’Ari allora chiede: «Carlo?», riferendosi a Carlo Lo Russo. «Carlo è uscito… Carlo se ne va proprio … che tiene da vedere Carlo … », gli risponde Mollica. E D’Ari insiste: «là Gigino… là Luigino? Lo chiudono e buttano la chiave!». Il ‘Luigino’ di cui parla è Luigi Cutarelli, quello che sparò all’indirizzo di Pasquale Izzi. «Luigi se non alza la mano pure lui e dice: mi dissocio, va a finire che prende trenta (30) anni!», gli spiega Mollica. E lui di rimando: «Se gli va bene!». C’è una familiarità tra i discorsi di D’Ari e Mollica che va oltre quella fredda conoscenza di cui il medico anestesista parlava ai poliziotti. C’è una familiarità in quei discorsi che lascia basiti. Una familiarità che diventa complicità vera e propria quando D’Ari, avendo capito dell’esistenza di un’inchiesta a suo carico rispetto ai ristoranti, mette in guardia Mollica, arrivando con lui a concordare una versione da rendere. Giurando che mai avrebbe inguaiato Torre: «Una cattiveria così il ragazzo non se la merita».

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venerdì, 18 Maggio 2018 - 08:30
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