Buttafuori ucciso a Bologna, i penalisti invocano il ‘modello Melillo’:
«Stop a foto di indagati alla stampa»

Il procuratore di Napoli Giovanni Melillo
di Dario Striano

«Stop alle foto di indagati ed imputati». Il metodo del procuratore di Napoli Giovanni Melillo fa scuola e viene invidiato ed invocato, in modo particolare, dagli avvocati della Camera penale di Bologna dove da due giorni si discute sulla gestione della comunicazione nel caso dell’arresto di Stefano Monti, accusato, a quasi 19 anni di distanza, dell’omicidio del buttafuori Valeriano Poli.

La richiesta delle toghe
Da quando i media nazionali e locali hanno riportato la notizia dell’arresto, i penalisti felsineii stanno richiamando i dirigenti degli Uffici di polizia giudiziaria «a una scrupolosa osservanza del divieto di indebite diffusioni di fotografie o immagini di persone arrestate, o sottoposte ad indagini nell’ambito di procedimenti penali». I legali bolognesi chiedono insomma di fare in modo che giornali e tv evitino, come si suol dire, di ‘sbattere il mostro in prima pagina’; sempre che si tratti di mostro, visto che, sul caso Monti, «ci si muove ancora nell’ambito delle indagini preliminari».

La spettacolarizzazione delle indagini
Alcuni tra i servizi giornalistici pubblicati sull’arresto si caratterizzerebbero – secondo i penalisti – «per un’ampia spettacolarizzazione dell’indagine» arricchita da fotografie che ritraggono il presunto omicida «nel momento dell’accompagnamento in Questura circondato da poliziotti». Un impianto fotografico («l’immagine in primo piano della persona arrestata») che, «corredato da titoli in prima pagina» – come «Preso il killer», «Risolto il giallo», «Il killer dal passato» – attribuisce «di fatto già il ruolo di omicida all’indagato». Circostanza maldigerita dagli avvocati che chiedono così alla procura di Bologna di attenersi «ai modelli rispettosi della riservatezza delle persone», previsti tra l’altro  anche «dalle direttive sovranazionali», quelle «dell’Unione Europea». Per la Camera penale «dalle modalità grafiche e contenutistiche di presentazione dell’indagine sull’omicidio del buttafuori» – assassinato il 5 dicembre del 1999 con otto colpi di pistola, secondo l’accusa, a seguito di una lite – emergerebbe «con chiarezza una netta presa di posizione delle testate giornalistiche a favore della tesi colpevolista»; come se «i commenti si riferissero ad una pronuncia di condanna definitiva piuttosto che ad una ordinanza custodiale». «La persona coinvolta nell’inchiesta – aggiungono le toghe -, da semplice indagato, viene evidentemente proposto all’opinione pubblica come il ‘killer’, già ‘incastrato’ dalle modernissime indagini della polizia scientifica, con tanto di movente».

Il ‘modello Melillo’
Stop alla spettacolarizzazione dell’inchiesta, dunque. Una linea che Giovanni Melillo, capo della procura partenopea (la più grande d’Italia), sta perseguendo da agosto 2017, dal momento del suo insediamento. Da allora sono state poche, pochissime le conferenze stampa con i giornalisti; e soprattutto stop alla divulgazione di foto di indagati e imputati nel rispetto dei loro diritti. Per evitare qualsiasi sorta di autocelebrazione e mania di protagonismo da parte dei pubblici ministeri e così anche l’enfasi della notizia. «Nella mia vita di magistrato ho sempre avuto una ridotta pratica di relazioni mediatiche – ha dichiarato a dicembre il procuratore Melillo in occasione della presentazione, in Tribunale, del libro di Annalisa Chirico – Non ho mai fatto conferenze stampa né comunicati se non per correggere informazioni distorte. Dobbiamo prendere le distanze da un’esigenza, finora avvertita da molti, di autorappresentazione celebrativa del lavoro del pm. Il mio ufficio non avverte questa esigenza, perciò non leggerete più comunicati in cui si annuncia di aver sgominato, disarticolato, neutralizzato, accertato un clan». Un concetto fermato, nero su bianco, anche in una circolare inviata al Consiglio dell’ordine degli avvocati e all’Ordine dei giornalisti con cui il procuratore ha precisato di voler curare «le condizioni di tutela della dignità delle persone coinvolte in un procedimento penale». Napoli e Melillo fanno scuola.

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venerdì, 8 Giugno 2018 - 15:35
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