Stupro in caso di ubriachezza, le inutili polemiche sulla Cassazione e i passi indietro della collettività e di certi politici

Abusi
di Manuela Galletta

Un polverone. Di polemiche. Di commenti indignati. Di accuse rivolte alla Cassazione di pronunciare sentenze che umiliano le donne. Con tanto di corsa dei politici, a cominciare da Lega e Forza Italia, a gridare allo scandalo, nella speranza di intercettare quanti più consensi possibili mostrandosi sensibili a un tema, come quello sulla violenza sulle donne, che prende la pancia di ogni normale cittadino.
Nella giornata di oggi è successo di tutto. Si è letto di tutto. ‘Colpa’ di una sentenza della Corte di Cassazione con la quale si è disposto un nuovo processo d’appello a carico di due uomini finiti sul banco degli imputati per stupro con l’aggravante di aver fatto ricorso a sostanze alcoliche. O meglio, colpa di una certa approssimazione giornalistica e di qualche titolo azzardato, nonché di lettori frettolosi e impreparati a capire le questioni di diritto, ma rapidissimi nello sparare giudizi – sbagliati – che non fanno altro che alimentare il mostro della confusione. Colpa della malsana abitudine di ritenere che la Legge non sia un compendio di regole ma debba adeguarsi al comune sentire, come se le regole – necessarie per la tutela di tutti – possano essere piegate a seconda delle esigenze o del pensiero del momento. Colpa soprattutto di certa classe politica che pontifica su tutto senza consapevolezza, dimenticando di avere l’onere di essere più preparata, in modo particolare sui temi di Diritto, dei normali cittadini che sono chiamati a rappresentare, ché spetterebbe a loro, ai politici, elevare le discussioni e riportarle nel giusto alveo.
La Corte Suprema, nell’esaminare il ricorso presentato dagli imputati (assolti in primo grado perché la vittima non era stata ritenuta attendibile e poi condannati in Appello), è intervenuta su due piani. E’ intervenuta con una valutazione sia sul reato contestato sia su quello dell’aggravante. Sul reato di violenza sessuale gli ‘ermellini’ non hanno avuti dubbi circa la sua fondatezza tanto da confermare nella sostanza la sentenza di condanna disposta in secondo grado. Non hanno cioè avuto dubbi nel ritenere che gli imputati, due cinquantenni, abbiano approfittato della donna con la quale avevano cenato approfittando del suo stato di ‘inferiorità’ provocato dall’assunzione di alcool. E qui entra in gioco la valutazione sull’aggravante, quella che ha indignato alcuni politici e quasi tutti Italia. Agli imputati era stata contestata la condotta di aver ‘somministrato l’alcol’ alla vittima, un’aggravante che determina un inasprimento della pena. Ma il punto è che i due imputati non hanno mai indotto la donna a bere più del dovuto. La donna – cosa che è emersa dai precedenti processi – ha alzato il gomito di sua spontanea volontà, finendo così con l’ubriacarsi. Proprio la mancanza di colpa nello stato di ubriachezza della vittima (detto in altri termini non c’è stata la volontà di creare appositamente le condizioni di ubriachezza della parte offesa per abusarne), ha spinto la Cassazione ad annullare l’aggravante della somministrazione dell’alcol dal momento che sarebbe stato ingiusto accollare ad una persona un fatto non commesso. Il fatto commesso, invece, è quello dello stupro. Il fatto commesso è quello dello stupro commesso benché la donna non fosse lucida (tecnicamente gli imputati hanno approfittato delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa). E per questo i due imputati saranno condannati. Sì, condannati. La Cassazione, a dispetto dei commenti indignati e frettolosi che pure si rincorrono da stamattina (qualcuno ha pure scritto che dalla sentenza si evince che la ragazza è stata stuprata per colpa sua; che assurdità!), non ha ritenuto immacolati due imputati solo perché la donna si è ubriacata da sola. Tutt’altro. La pena ci sarà, ma dovrà semplicemente essere ricalcolata. Verso il basso rispetto al precedente grado di giudizio, perché l’aggravante della somministrazione dell’alcol è stata cancellata. Ed è stata cancellata perché quel tipo di condotta gli imputati non l’hanno commessa. Nonostante questo, però, per qualche politico è stata più facile aizzare gli animi e cavalcare l’onda dell’indignazione (fuori luogo) popolare anziché provare a spiegare il Diritto. Dice Vincenza Labriola, parlamentare di Forza Italia: «Rimango allibita nel leggere la sentenza della Corte di Cassazione, che prevede la mancanza dell’aggravante per il responsabile di una violenza perpetrata ai danni di una persona ubriaca per avere assunto alcol volontariamente (…) E’ una pronuncia sconcertante che lascia l’amaro in bocca e che auspico possa presto essere superata da una sentenza che sappia leggere la realtà con maggiore equità». Inutile dire che l’affermazione è scorretta. Non esiste nel codice un’aggravante tout court legato al mero stato di ubriachezza della vittima. Esiste un’aggravante legata alla volontà da parte di un imputato di far bere o di drogare la parte offesa per poterne approfittare, e non era questo il caso di questa storia. Quindi di sconcertante non c’è altro che l’affermazione di un parlamentare che, pur dicendo di aver letto la sentenza della Cassazione, ignora però la norma sull’aggravante che tanto ha fatto storcere il naso. Jacopo Morrone, il sottosegretario alla Giustizia in quota Lega, dice addirittura che la sentenza «sicuramente ci fa fare passi indietro e non in avanti». In parte ha ragione. Questa sentenza ci ha fatto fare tutti un passo indietro, perché ha messo a nudo la spaventosa ignoranza della collettività sui temi del Diritto; la sfrenata corsa anche dei meno preparati – che un tempo tacevano nel timore di fare cattiva figura lanciandosi su temi che ignoravano – a dire la propria; l’abbassamento del livello di alcuni politici, più protesi a rincorrere il sentire comune, anche quando è sbagliato, anziché provare ad elevare la collettività.

martedì, 17 Luglio 2018 - 14:46
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