Lo spoglio delle preferenze è terminato, il fuoco della guerra interna al Pd partenopeo brucia invece più forte che mai. Massimo Costa è il nuovo segretario dei dem di Napoli. Eletto da una sparuta platea di iscritti, dimezzata, falcidiata da uno scontro fratricida consumatosi tra conferenze stampa, valanghe di polemici e duri post su Facebook, accuse persino sul piano personale e interviste trancianti sui giornali.
La fuga dalle urne, appena 9078 votanti per il Congresso in due tempi
Ieri sera la Commissione di garanzia presieduta da Alberto Losacco, inviato a Napoli per fare da arbitro tra le amiche-nemiche correnti del partito, ha scrutinato tutte le schede di votanti raccolte nella singolare elezione svoltasi in due tempi, vale a dire domenica 12 novembre e sabato 18 novembre. Novemila e 78 le preferenze espresse nel Congresso. Poche, pochissime se si considera che la platea degli aventi diritto al voto sfiorava le 30mila unità. Anche Losacco non nega l’evidenza, eppure cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno: «E’ una percentuale che considero bassa ma in linea con i congressi provinciali, basta pensare che a Bologna, dove il partito ha una organizzazione considerata molto buona, nell’ultimo congresso ha votato il 44% degli iscritti. La platea che ha votato al congresso napoletano è la stessa che ha partecipato al congresso nazionale dello scorso anno, quando votarono in 11.000 per scegliere tra Renzi, Orlando ed Emiliano». Magra consolazione.
Voto rinviato, contrordine, golpisti e ribelli: il caos del Congresso
Sulla fuga dalle urne ha pesato di tutto. Ha pesato il caos, surreale, quasi al limite della follia, scoppiato nella notte tra l’11 e il 12 novembre, ossia alla vigilia delle votazioni. Il vicesegretario nazionale del Pd Maurizio Martina invia, alle 23 dello scorso 11 novembre, una mail con la quale dispone il rinvio del voto, decisione che accoglie la mozione del candidato alla segreteria Nicola Oddati (appoggiato dagli ex Ds, nonché dagli uomini di Martina e di Matteo Orfini) che da una settimana andava chiedendo il deferimento delle elezioni per via di palesi anomalie nelle tessere degli iscritti votanti (alcuni tesserati risultavano nati nel 2024, nel 2021 o nel 2028, tanto per ricordare l’anomalia più assurda). Alle 11 del giorno seguente arriva invece il contrordine di Andrea Rossi, responsabile organizzazione del Pd nazionale. E un’ora dopo si aprono le urne (a dir la verità qualche circolo, come Bagnoli, aveva cominciato a lavorare già prima). Roba da uscire pazzi. Quantomeno da restare confusi. Nella nebbia della confusione si perdono, così, i voti di chi non sa del dietrofront dell’ultimo minuto. Ma, dato più clamoroso, dalla pancia della confusione viene partorito il golpe dei sostenitori di Oddati, che in un colpo solo disertano i seggi e chiudono i circoli da loro diretti impedendo il voto ai propri iscritti. Incluso a Massimo Costa, che il 12 novembre si scontra col cancello sbarrato della sezione Vomero. La sua sezione. Ai golpisti si accodano i ribelli, come il sindaco Antonio Pannullo di Castellammare di Stabia, che, pur facendo parte dell’area a sostegno di Costa, punta i piedi contro l’incredibile valzer di ordini e contrordini sul voto e chiude il seggio del suo comune per – spiegherà a mezzo stampa – «una questione di dignità». La conta finale delle rocambolesche elezioni del 12 novembre è di 98 circoli su 126 aperti per poco meno di settemila i votanti tra Napoli e provincia. Percentuale magra, che si cerca di gonfiare imponendo ai 28 circoli rimasti chiusi di tornare al voto, stavolta con tanto di garanti a vigilare nei seggi. È la genesi del Congresso in due tempi. Ma la partita di ‘ritorno’ regala un risultato più misero dell’andata: solo 500 i votanti, di cui 100 a Napoli città.
Costa nuovo segretario, ma il Pd esce dalle urne con le ossa rotte. E Oddati confida nel tribunale di Napoli
Vince Massimo Costa. Perde il Pd napoletano, dimostratosi ‘rotto’, spezzato in due parti – ex Ds contro ex Margherita – incapaci di dialogare e trovare una sintesi, ancora arroccato sulle logiche delle tessere e delle correnti ma al tempo stesso pervaso dalla freschezza dei giovani che non sono figli di ammuffite ideologie politiche e che sono venuti su spinti dal vento di un riformismo che stenta a soffiare forte. Un partito in macerie, insomma. Che non conosce neppure la regola aurea della politica di lavare i panni sporchi in famiglia e finisce così con lo sbattere in faccia all’ elettorato, sempre più assottigliato e sconfortato, la propria vulnerabilità. Perde il Pd, dunque. E vince Costa. Forse. Sí, perché sulle macerie di questo Congresso da manicomio svetta la figura trionfante di Nicola Oddati, l’ex Ds che s’era candidato alla guida della segreteria provinciale e che, ad una settimana dal voto, ha alzato il tavolo per aria mandando in tilt un intero Pd. Quello napoletano prima, quello nazionale poi. Oddati s’è rivolto persino al tribunale di Napoli per annullare il Congresso. Venerdì mattina il suo avvocato ha presentato un ricorso d’urgenza per azzerare il voto, ultima carta giocata dopo gli inviti a fermarsi rivolti ai vertici dei dem e i ricorsi presentati alla commissione di garanzia lamentando irregolarità nelle tessero. Sul ricorso, il tribunale di Napoli, non s’è ancora pronunciato. Tutto può succedere. Forse. Lo spettacolo indecente offerto dal Pd resta.
domenica, 19 Novembre 2017 - 00:07
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