Pompei, imprenditore gambizzato al pm: «L’imputato mi sparò per 40mila euro»
Il calvario per un debito da usura

di Dario Striano

«Veniva spesso sotto casa e minacciava mia moglie. Mi aspettava giusto per farsi vedere e poi andava via». Pronuncia queste parole quasi con imbarazzo l’imprenditore A.M. dinanzi al tribunale di Torre Annunziata (presidente Federica De Maio). Il 47enne, chiamato a testimoniare dal pubblico ministero Rosa Annunziata, racconta ai giudici il suo calvario negli anni dell’usura, quando dal 2008 al 2012 è rimasto intrappolato nella fitta ragnatela tessuta – secondo l’accusa – dal suo aguzzino Filippo Cascone, titolare di una caffetteria in via Nolana a Pompei. «Iniziai a rivolgermi a lui per piccoli prestiti. I rapporti col tempo diventarono sempre più frequenti e le richieste di danaro contante sempre più ingenti». L’imprenditore, costituitosi parte civile nel processo, è un fiume in piena nel ricostruire i motivi che lo hanno spinto a chiedere ‘aiuto’ all’imputato. Parla della sua azienda di termoidraulica e condizionamenti e dei suoi rapporti con le banche. Racconta di esser stato puntuale nella restituzione dei prestiti sino al 2010 e di aver guadagnato così la fiducia del presunto usuraio. «Avevo una società che lavorava molto e con molti dipendenti a carico. Vantavo diversi crediti con le banche. Fin quando le cose sono andate bene riuscivo senza problemi a saldare i miei debiti. Ero particolarmente preciso anche nella restituzione degli interessi». La richiesta usurante era sempre la stessa: il 10% mensile. Cento euro per ogni mille euro prestati al mese. Un alto tasso di interesse che non aveva spaventato l’imprenditore fino a quando il carico di lavoro della sua azienda si è ridotto drasticamente. «Sino al 2010 ho restituito a Cascone circa 60 mila euro. Quando non riuscivo a saldare in tempo ero costretto a rinegoziare i prestiti. Ricordo che nel 2011 dovevo all’imputato altri 40 mila euro, per un vecchio prestito di 7 mila euro poi aumentato per i continui ritardi. L’azienda non andava più bene. Nell’ultimo anno ho dovuto firmare alcune cambiali anche a nome di mia moglie come garanzia per i soldi non ancora restituiti». Quindi le minacce, gli avvertimenti e gli appostamenti fino a tarda sera del Cascone nei pressi dell’abitazione dell’imprenditore. Poi la sparatoria del 10 aprile 2012 nei pressi della caffetteria di via Nolana. «Ricordo di essere andato quella mattina al suo bar per poter chiedere a Cascone un’ulteriore proroga per restituire il mio debito. Parcheggiai l’auto nel garage di sua proprietà. Prendemmo un caffè e mi disse che non c’erano problemi. Poi uscì dal bar e mi sparò all’altezza del ginocchio sinistro. Ricordo che il figlio di Cascone spinse il padre e mi accompagnò in clinica con la sua auto. Disse che il papà aveva commesso un errore. Mi lasciò all’ospedale e dopo andò via». Da qui la denuncia che ha poi portato all’inchiesta della procura di Torre Annunziata. Filippo Cascone è imputato per usura, assieme alla moglie, al figlio ed altre 3 persone, mentre in un altro procedimento è indagato per «tentato omicidio». A inizi marzo si svolgerà l’udienza preliminare per la ‘gambizzazione’ nei pressi della sua caffetteria. 

martedì, 6 Febbraio 2018 - 13:34
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