Pizzo ai clan per girare la fiction Gomorra, nuovi guai giudiziari per la Cattleya: indagine su altri tre manager

Una scena della prima serie della fiction Gomorra
di Dario Striano

I guai giudiziari non sono finiti.  La «pessima figura internazionale», per dirla con le parole di un magistrato, fatta dalla Cattleya nel pagare il pizzo alla camorra per poter girare diverse scese nella villa (presa in fitto) di un boss in carne ed ossa, è destinata ad arricchirsi di un nuovo capitolo.
La procura della Repubblica di Torre Annunziata dovrà, infatti, estendere l’inchiesta sulle responsabilità dei manager che sapevano della tangente da 6mila euro in favore del ras Francesco Gallo ma che hanno taciuto nel vano tentativo di proteggere la società cinematografica e la fiction dall’imbarazzante paradosso divenuto ormai di dominio pubblico. Ieri pomeriggio, infatti, il giudice monocratico Gabriella Ambrosino del Tribunale di Torre Annunziata, oltre a condannare l’allora location manager Gennaro Aquino a sei mesi (pena sospesa) per favoreggiamento, ha anche disposto la trasmissione degli atti in procura nei confronti di tre manager (Maurizio Tini, Riccardo Tozzi e Giovanni Stabilini), che hanno deposto nel corso del dibattimento come testi. Si dovrà procedere per falsa testimonianza, perché – e su questo aspetto giudice e pm titolare dell’inchiesta sono in sintonia – c’è la forte convinzione che i tre pezzi grossi della Cattleya abbiano mentito sotto giuramento. Una convinzione divenuta granitica quando l’imputato Gennaro Aquino, nel tentativo di sminuire le proprie responsabilità in ordine al pagamento della tangente, ha ammesso di aver consegnato «una busta con 5 mila euro all’interno» per esaudire le volontà dei Gallo, specificando però di non aver mai saputo «da chi della produzione provenissero effettivamente quei soldi». La deduzione è logica. Oltre ad Aquino, altri sapevano. Altri si sono attivati per pagare la camorra, anziché denunciarla. E, allora, ecco il nuovo fronte giudiziario: l’apertura di un altro fascicolo di inchiesta sul silenzio omertoso di una società cinematografica che ha portato sul grande schermo una fiction creata con l’obiettivo di raccontare il mondo oscuro della criminalità organizzata partenopea e al tempo stesso di sensibilizzare l’opinione pubblica affinché questa prenda le distanza dal mondo alla rovescia della malavita. Il pubblico ministero Maria Benincasa è già a lavoro. Del resto il magistrato inquirente l’aveva già fatto capire nel corso della requisitoria che la storia della tangente non si sarebbe conclusa col processo a Gennaro Aquino (condannato) e a Gianluca Arcopinto (assolto): «E’ palese che durante il processo alcuni tra i produttori della serie, chiamati a testimoniare, abbiano mentito – ha detto il pm durante la requisitoria – Così come hanno mentito negli interrogatori per sommarie informazione i due imputati dicendo di non essere stati a conoscenza delle pressioni e delle minacce. Non certamente per aiutare la famiglia Gallo o per omertà con la Camorra, ma per coprire la Cattleya che con la vicenda ha fatto una pessima figura internazionale». Già.

giovedì, 8 Febbraio 2018 - 09:14
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