Mohammed è fermo al semaforo. In una mano stringe una spazzola per lavare i vetri e nell’altra un pacchetto di fazzolettini di carta con il logo del Napoli Calcio. Indossa jeans stracciati, scarpe Adidas fuori moda e la maglia del Milan degli olandesi. E’ lì, in piedi su uno spartitraffico, e aspetta che scatti il rosso per guadagnare qualche spicciolo tra gli automobilisti. Mohammed è entrato in Italia non si sa dove e nemmeno quando; perché lui ha in mente solo il viaggio della disperazione: in un barcone alla deriva nel Mediterraneo con altre 100 persone o stivato in un camion come un pacco. Mohammed forse non si chiama così: l’identità, quella ufficiale, gliel’ha data lo Stato italiano con una foto-segnaletica accompagnata dalle impronte digitali e una dimora indicata solo perché in quel posto, forse, ci sono altri suoi connazionali. Dal 1998 al 2011 se Mohammed fosse stato fermato dalle forze dell’ordine sarebbe stato ‘trattenuto’, indicato come immigrato clandestino ed espulso dal territorio italiano attraverso l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica in ottemperanza al decretro legislativo 286/98: il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. Nel 2011, però, arriva l’Unione Europea con la ‘direttiva rimpatri’: una tirata d’orecchie per l’Italia e per le sue norme in contrasto con i provvedimenti in materia di ‘libera circolazione’ degli immigrati sul territorio del vecchio continente. Al Governo ci sono Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e la Lega Nord: ci sono gli uomini che del contrasto all’immigrazione clandestina hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Il Cavaliere prende tempo, aspetta sei mesi, ma alla fine cede. Con il decreto legge 89/2011 (successivamente convertito in legge), il legislatore provvede a trasporre nell’ordinamento italiano il contenuto della direttiva europea ponendo rimedio agli elementi di incompatibilità più evidenti che sussistevano tra normativa interna e comunitaria. La nuova legge è chiara: l’esecuzione coattiva dell’espulsione per gli immigrati clandestini si trasforma in allontanamento volontario (eccetto che in presenza di determinate condizioni) e l’arresto diventa denuncia con conseguente multa. Ed è cosi che Mohammed l’irregolare, tecnicamente immigrato clandestino, diventa introvabile: in giro tra scali ferroviari, semafori e vecchi edifici diroccati. Di fatto, con la nuova normativa – modificata più volte sino al 2017 – agli immigrati che le autorità italiane ‘catalogano’ come «non pericolosi», viene semplicemente consegnato un foglio (tecnicamente decreto di espulsione) che gli ordina di lasciare l’Italia, senza però che questa misura sia davvero applicata. A renderla effettiva, dovrebbe essere la coscienza dell’immigrato. Ora Mohammed non è più introvabile ma invisibile. Cambia semaforo, cambia stazione e cambia edifici diroccati. Un fantasma che scompare sul territorio nazionale. E se viene fermato dalle forze dell’ordine? Nuova denuncia a piede libero e poi fuori dalla Questura con un nuovo decreto di espulsione tra le mani. E’ la procedura, nulla di più.
Nei giorni scorsi Othman Jridi, algerino clandestino in Italia, è stato arrestato a Pompei dai carabinieri dopo una segnalazione dei vigili urbani. Il nordafricano ha rubato un’auto a Terzigno e, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ha superato le barriere antiterrorismo lungo il vialone che porta al Santuario concludendo la sua corsa contro i gradoni della chiesa madre. Fermato, processato e condannato per direttissima a 2 anni e 8 mesi. Su Jridi, però, c’è altro: un decreto di espulsione dal territorio italiano che risale al 2016 e il nome di Allah ripetuto più volte durante il processo. Jridi, per la legge non è ancora un terrorista, ma per il giudice è meglio vederci chiaro: atti alla procura antiterrorismo e una nuova indagine per verificare rapporti, amicizie e abitudini dell’algerino.
Ma se la storia di Jridi, venuta fuori proprio qualche giorno prima in cui la Digos di Roma stava sgominando i fiancheggiatori di Amri Amin (l’attentatore di Berlino ucciso alla frontiera italiana) fosse stata diversa, cosa sarebbe successo? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Bisogna tornare a Terzigno e fermarsi pochi minuti prima del furto d’auto. Se Jridi fosse stato fermato e sottoposto a un controllo prima del colpo, le forze dell’ordine si sarebbero accorte subito della sua situazione. Niente documenti, nessuna dimora fissa e soprattutto quel decreto di espulsione firmato nel 2016. A dire la verità su di lui è l’identità che gli ha dato lo Stato, la foto-segnaletica e le impronte digitali caricate sul fascicolo informatizzato sul suo conto. Le forze dell’ordine, dopo una denuncia a piede libero per inosservanza del decreto di espulsione, avrebbero informato il prefetto e condotto Jridi in questura. Un’ora dopo l’algerino, «persona non pericolosa», sarebbe uscito con un nuovo decreto di espulsione tra le mani e con l’obbligo di lasciare il territorio italiano entro 5 giorni. E’ la procedura, nulla di più. Nessuna inchiesta per terrorismo, nessun controllo su rapporti, amicizie e abitudini. L’Isis non c’entra. Ed è così che Jridi, come Mohammed, sarebbe diventato un fantasma, invisibile sul territorio nazionale: non più in giro per le vie dell’hinterland vesuviano, ma tra semafori, scali ferroviari ed edifici diroccati, di chissà quale città italiana.
sabato, 31 Marzo 2018 - 16:02
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