Camorra a Roma, parte l’udienza d’Appello Chiesti 300 anni di reclusione complessivi per i Napoletani della Tuscolana

Tribunale Giustizia
di Dario Striano

Confermate le richieste di condanna a 300 anni di reclusione complessivi per alcuni degli imputati del processo d’appello ‘Camorra Capitale’. L’impianto accusatorio ‘fissato’ nelle motivazioni della sentenza di primo grado è stato confermato questa mattina dal procuratore generale Francesco Piantoni per i cosiddetti “Napoletani della Tuscolana”, lasciando spazio solo ad alcune rideterminazioni o alla riqualificazione di alcune imputazioni. Nel maxi processo sono contestate accuse che, a vario titolo, vanno dall’associazione mafiosa, all’associazione finalizzata al traffico illecito di droga, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce.

Le richieste di condanna
In primo grado furono pronunciate pesanti condanne per complessivi 300 anni di reclusione. Otto furono invece le assoluzioni. Le condanne più alte – per le quali il Pg ha chiesto la conferma – furono inflitte a Domenico Pagnozzi, alias Mimì ‘o professore – proveniente da Avellino con parentele a Ponticelli – e Massimiliano Colagrande (30 anni ciascuno), nonché a Marco De Rosa e Stefano Fedeli (20 anni e 4 mesi ciascuno).
Questa mattina il procuratore generale ha chiesto anche la riforma per alcune delle contestazioni, causa l’intervenuta prescrizione dei reati. Per alcuni degli imputati, quindi, è stato sollecitato ai giudici di operare una riduzione della pena.

Come è nato il maxi processo
Il processo nacque dagli esiti di una maxi inchiesta che nel 2015 portò gli inquirenti a ritenere di avere smantellato un’organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sud-est di Roma, impegnata in varie attività illecite e capeggiata da Mimì Pagnozzi, difeso dall’avvocato Dario Vannetiello del foro di Napoli. Il ‘gruppo’, caratterizzato dall’integrazione tra persone di origini campane e romane, per l’accusa avrebbe gestito lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale, riuscendo persino a sottomettere la mafia locale dei Casamonica . Durante le indagini, però, sarebbero emersi anche episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. Per gli inquirenti, l’organizzazione avrebbe voluto monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machine in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà.

mercoledì, 4 Aprile 2018 - 21:09
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