Falsi in atto pubblico, lavori abusivi, errori strutturali, negligenze, ed omissioni. Un cocktail di negligenze, speculazioni e noncuranza per la vita altrui, per dirla fuor di giuridichese. Sta tutta in questo devastante quadro la strage degli innocenti di Torre Annunziata del 7 luglio dello scorso anno. Sta tutta in questo scenario il crollo di una palazzina di 6 piani alla Rampa Nunziante che è costato la vita ad 8 persone, tra cui 2 bambini. Una strage di cui oggi devono rispondere, a seconda dei propri ruoli, sedici persone. A tempo record, la procura della Repubblica di Torre Annunziata, guidata dal procuratore Alessandro Pennasilico, ha chiuso le indagini: migliaia di carte, supportate da consulenze tecniche dettagliate. Proprio nell’avviso di conclusione indagini, firmato dal procuratore Alessandro Pennasilico e corredato da una perizia firmata dai professori Nicola Augenti e Andrea Prota, emergono tutti i disastri che hanno portato al crollo del palazzo. Un palazzo che non sarebbe neppure dovuto esistere: la licenza a costuire prevedeva, infatti, la realizzazione di una semplice villetta bifamiliare a due piani.
La causa principale del crollo
Partiamo dalla causa principale del crollo, individuata dai due periti nei lavori di manutenzione del secondo piano che avrebbero causato «lo schiacciamento dei maschi murari che costituivano il muro perimetrale» frontale alla ferrovia. Già perché la demolizione dei tramezzi divisori avrebbe «sovraccaricato parte della muratura portante, indebolendola, minandone l’integrità» e privandola dunque «in più punti delle pietre di tufo».
Il palazzo della morte doveva essere una villetta
Non solo lavori compiuti male. Dalla fotografia dell’inchiesta emerge anche «un allarmante quadro in ordine alle falsità ideologiche commesse dai proprietari – vecchi e nuovi – degli appartamenti» per attestare non solo «la legittimità dei lavori da effettuarsi», ma anche la sola presenza della palazzina. Ebbene sì, perché quell’edificio di sei piani rovinato al suolo lo scorso luglio doveva essere tutt’altro. Doveva essere una villetta bifamiliare, composta da «una piccola rimessa padronale, un piano rialzato con 2 vani accessori e da un piano superiore con 4 vani». «Un edificio», insomma, «completamente diverso da quello realizzato», come scrivono gli inquirenti, secondo l’ultima licenza edilizia rilasciata nel lontano 1957. I vecchi proprietari degli appartamenti avrebbero dunque con atti falsi – presenti «nel contratto preliminare di vendita e in quello definitivo del 2015» – attestato che l’intero fabbricato di 6 piani era stato realizzato in epoca antecedente al 1967 in conformità della normativa vigente, per vendere la palazzina ai nuovi titolari. Questi poi sempre, attraverso la «non corretta rappresentazione dello stato di fatto degli immobili», avrebbero indotto in errore il funzionario del catasto nelle variazioni catastali. Nel fare ciò i proprietari sarebbero stati aiutati dal professionista Massimiliano Bonzani – l’unico tra gli indagati ad essere sottoposto da misura interdittiva dalla sua professione – per accertare che il palazzo fosse conforme sul piano urbanistico. A sostegno della tesi della procura vi sarebbe l’esito di un controllo incrociato effettuato dall’Agenzia delle Entrate.
Le omissioni dei professionisti
Ma c’è di più. Perché a quegli errori strutturali si sarebbe potuto porre rimedio. O, meglio, per la procura oplontina, si sarebbero potute evitare le 8 morti se solo i professionisti, gli architetti Aniello Manzo e Giacomo Cuccurullo – tecnico comunale deceduto nel crollo – avessero segnalato «lo stato di dissesto evidente e di una situazione di pericolosità a loro nota, ai vigili del fuoco». E così alla richiesta di sgombero dell’immobile, i tecnici avrebbero preferito porre rimedio agli errori «con presidi di assicurazione chiaramente insufficienti». Perlopiù «isolati puntelli metallici e spallette di mattoni pieni». Come spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua. Una condotta simile a quella ipotizzata per l’avvocato Roberto Cuomo, amministratore di condominio che, «nonostante fosse stato messo a conoscenza dell’illegittimità dei lavori da alcuni condomini», lamentatisi per «il martello automatico azionato per diverse ore del giorno», avrebbe «omesso di verificare la portata del cantiere e quindi di adottare i necessari provvedimenti per tutelare l’incolumità dei condomini», inoltrando la segnalazione agli organi competenti.
I lavori abusivi al primo piano
Non è finita qui. Dalla consulenza redatta invece dal professore Alberto Coppola risulta che anche i lavori edilizi al primo piano sarebbero stati abusivi. Ma questi non avrebbero avuto alcuna rilevanza sul crollo.
mercoledì, 18 Aprile 2018 - 18:26
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