Ieri pomeriggio il giudice monocratico del tribunale di Torre Annunziata li ha assolti con formula piena dall’accusa di colpa medica. «Perchè il fatto non sussiste», ha scandito la toga nella semivuota aula Giancarlo Siani del palazzo di giustizia oplontino. Nonostante la procura della Repubblica avesse richiesto per loro una condanna complessiva a 3 anni e 6 mesi di reclusione, lo scorso 20 marzo.
Le assoluzioni con formula piena
Per il giudice Federica De Maio il responsabile di una clinica medica di Poggiomarino, F.P.F., il fisiatra E.M.M., e il direttore dell’ospedale di Scafati, C.L., non sono dunque responsabili del decesso per tromboembolia polmonare di Ciro D’Auria, persona affetta da tetraparesi spastica e cerebropatia, morta il 14 ottobre 2010 dopo «20 giorni di calvario».
Il calvario del paziente disabile
Il disabile era in cura presso un centro medico privato di Poggiomarino quando cominciò ad avvertire il primo dolore alla coscia destra «che appariva gonfia, – hanno raccontato vari testimoni durante il processo – tanto che il paziente non riusciva a stare in piedi, nonostante di solito fosse in grado di poggiare i piedi a terra». Per quel dolore fu quindi chiamato il medico di base L.B., condannato in cassazione a gennaio 2018 per il decesso del paziente perché «colpevole di aver prescritto la somministrazione di un antibiotico piuttosto che visionare gli arti inferiori del paziente», seppur avesse «richiesto la visita di uno specialista». O meglio, di un fisiatra, di E.M.M., il professionista imputato per «l’errore di diagnosi che – secondo la procura – avrebbe scatenato una serie di altri gravi errori e omissioni». Già, perché secondo i magistrati oplontini, E.M.M. non si sarebbe accorto che quel dolore al ginocchio accusato dal paziente fosse in realtà dovuto alla frattura del femore. Una ferita che «doveva e poteva essere curata attraverso la somministrazione al disabile di eparina». Secondo i magistrati oplontini sarebbe bastato dunque «un ciclo di 5 o massimo 7 giorni di anticoagulanti per salvare la vita di Ciro D’Auria», iter tra l’atro che sarebbe stato consigliato persino da uno degli operatori OSA della clinica di Poggiomarino, ascoltato come testimone in aula durante le udienze precedenti.
La difesa: «Diagnosi impossibile»
Le gravi patologie di cui soffriva Ciro D’Auria avrebbero però indotto all’errore il fisiatra, e successivamente quindi anche gli altri due medici imputati. «La tromboembolia di solito viene individuata dall’extrarotazione dell’arto inferiore, ma la tetraparesi spastica ha mantenuto l’osso della vittima in in linea». Tradotto: «era impossibile pertanto individuare la rottura del femore». E’ questa la tesi sostenuta in aula dalla difesa, costituita dagli avvocati Giovanni Abet, Antonio Liguori, Leonardo Mastia e Angelo Mancino, al netto delle motivazioni che hanno portato all’assoluzione.
La tesi del direttore dell’ospedale di Scafati
Motivazioni che saranno depositate entro 90 giorni. E in più – secondo i legali della difesa – durante il dibattimento non sarebbe stata accertata «dall’accusa la data della rottura», per cui il paziente, «tra l’altro incapace di parlare», potrebbe aver riportato la frattura diversi giorni dopo la sua visita al centro ospedaliero di Scafati. Circostanza «che scagionerebbe – secondo l’avvocato Mastia – C.L., direttore del nosocomio».
–>> Leggi anche:
venerdì, 25 Maggio 2018 - 15:22
© RIPRODUZIONE RISERVATA