Vittime sparite, scontro tra giudici
sulla procedura per le notifiche
La Cassazione dà ragione ai Licciardi

Tribunale Giustizia

Le vittime di quel tentato omicidio non si trovano più. Da tempo. Al domicilio indicato all’epoca dell’inchiesta non c’è più nessuno di loro, né José Rives né Cruz Virginio Portolatin. Spariti nel nulla. Con l’impossibilità per la difesa degli imputati condannati per il loro tentato omicidio di poterli avvisare dell’udienza relativa al caso. Eppure, nonostante la palese difficoltà di mandare a buon fine le notifiche – che per legge sono a carico degli accusati – a Napoli ci sono magistrati che hanno negato agli imputati la possibilità di vedere discussa la richiesta di sostituzione della misura cautelare per via della ‘scomparsa’ delle parti offese. Una situazione sulla quale è dovuta intervenire la Corte di Cassazione che pochi giorni fa ha depositato le motivazioni con le quali è stato accolto il ricorso presentato nell’interesse di Antonio e Vincenzo Licciardi, figli di Pietro ‘a scigna, disponendo che adesso sia un Riesame a valutare se ci sono i presupposti per l’attenuazione della misura cautelare.
La battaglia legale è cominciata il 28 luglio 2017 quando ai giudici della Corte d’appello è stata avanzata richiesta di concessione degli arresti domiciliari, sostenendo che il tempo di detenzione sofferto dagli imputati (in cella dal 2013) abbia scemato la pericolosità sociale della coppia. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, sostenendo che la difesa non avesse compiuto tutti i tentativi possibili per notificare l’istanza anche alle parti lese. In particolare i giudici hanno ritenuto che la difesa non dovesse limitarsi a cercare le vittime presso un domicilio dove già da tempo risultavano assenti, bensì che dovesse anche effettuare altre ricerche, come una acquisizione dal DAP circa un eventuale stato di detenzione delle persone offese o una certificazione anagrafica da cui risultasse quale altro loro domicilio. La motivazione della Corte ha spinto la difesa a presentare il ricorso. Il legale dei Licciardi ha ritenuto infatti che i tentativi esperiti fossero più che sufficienti e soprattutto conformi alla Legge (la norma prevede la notifica di un atto presso la persona o presso il domicilio eletto o il difensore di fiducia e, in mancanza, con il deposito di atti in cancelleria). E che le ulteriori ricerche indicate dalla Corte fossero un onere aggiuntivo non previsto dalla Legge. Una conclusione che è stata sposata in pieno dalla Corte di Cassazione, la quale ha così disposto l’accoglimento delle istanze della difesa e ha rimandato ai giudici del Tribunale del Riesame di Napoli di valutare se esistano le condizioni, nel merito, di concedere ai due Licciardi di tornare a casa.
Vincenzo e Antonio Licciardi sono ancora in attesa di un processo in Appello. O meglio: nel 2013 vennero condannati col rito abbreviato a 12 anni di reclusione a testa. Da quel momento in poi l’iter processuale si è rivelato particolarmente complesso, con una prima condanna in Appello annullata dalla Cassazione; con un secondo processo pure annullato dalla Cassazione. Si è in attesa della celebrazione del terzo processo di secondo grado. Il tentato omicidio si consumò il 31 marzo del 2013: in un locale di Napoli Josè Rives rifiutò di far ballare la sua fidanzata con Antonio Licciardi. E questo provocò la reazione rabbiosa dei due fratelli che si recarono sotto casa del dominicano per vendicarsi. Aprirono il fuoco contro di lui, ma Rives riuscì a scansarsi. Il proiettile a lui destinato colpì Cruz Virginio Portolatin. I due Licciardi furono arrestati poco dopo e da allora sono detenuti in prigione.

martedì, 19 Giugno 2018 - 18:58
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