Le tracce sono partite da lontano. Ontario, regione principale del Canada che ha dato il nome all’operazione; l’ultimo filo è stato annodato a Napoli, dove le forze dell’ordine hanno ammanettato un 51enne disoccupato. Una persona perbene per tutti, celibe per l’anagrafe, incensurato per il casellario giudiziario. Da ieri su di lui pende un’accusa grave: è stato coinvolto infatti nell’operazione contro la pedopornografia effettuata dal compartimento di polizia postale e comunicazioni per la Lombardia, coordinato dalla Procura di Milano. Gli arrestati sono quattro: tre disoccupati (oltre al napoletano ci sono un 25enne preso a Latina e un 46enne fermato a Bologna) e un impiegato, 30enne, catturato a Torino. Persone normali che però nascondevano secondo le indagini segreti inconfessabili tra gli smartphone e i pc. Oltre a loro ci sono 18 indagati a piede libero: 3 di loro hanno precedenti specifici. Gli altri sono ‘persone normali’: si va da studenti universitari di 25 anni a un 60enne pensionato. Tra loro c’è un’unica donna, che risiede nel Milanese dove lavora come collaboratrice domestica. L’indagine è partita lo scorso anno ma tra marzo e giugno sono state eseguite 22 perquisizioni in molte regioni italiane che hanno portato al sequestro di 26 smartphone, 7 computer portatili e 18 hard disk con una capacità di 10 terabyte. In quei supporti gli investigatori hanno rinvenuto oltre 20mila immagini tra video e foto pedopornografici, per lo più materiale vecchio che gira da anni in rete. Si tratta di minori, dalla tenera età fino all’adolescenza, principalmente asiatici e latinoamericani, nei cui Paesi di origine viene prodotta la gran parte delle immagini poi immesse nei circuiti dei pedofili. Gli scambi avvenivano attraverso una un’app di messaggistica per smartphone legale, Kik messanger, a cui accedevano utilizzando caselle di posta elettronica aperte ad hoc con dati fittizi. Gli indagati nascondevano, inoltre, la propria identità servendosi di connessioni libere in strada o accedendo al wi-fi di persone ignare. Gli investigatori hanno analizzato in totale 15mila connessioni prima di riuscire a individuare la rete dei presunti pedofili. Prima di poter arrivare «alla stanza», cioè la chat vera e propria utilizzata per lo scambio di materiale, bisognava fare «anticamera», aspettando il permesso da parte di altri membri che avevano segni distintivi (la foto e lo status) per essere riconosciuti nella comunità. La polizia postale italiana si è mossa dopo essere stata attivata dalle segnalazioni giunte (per il tramite del National Child Exploitation Coordination Centre del Canada al nostro Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia sulla rete) dalla stessa società canadese Kik Interactive Inc. che gestisce l’applicazione di messaggistica istantanea per smartphone.
giovedì, 21 Giugno 2018 - 15:48
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