Nessuno tocchi Caino, tranne se si tratta di un camorrista. Ha scatenato polemiche la vicenda di Giuseppe Falsone, 48enne boss siciliano di Cosa Nostra che aveva chiesto di poter essere iscritto all’associazione radicale ‘Nessuno tocchi Caino’, da sempre impegnata nelle campagne per l’abolizione della pena di morte nel mondo e per la tutela dei detenuti.
Falsone, capo di una cosca agrigentina, venne arrestato nel 2010 e poi rinchiuso a Novara. Proprio durante la reclusione nel penitenziario piemontese aveva chiesto a una congiunta di inviare 200 euro al proprio legale per l’iscrizione al Partito Radicale. Secondo i giudici però quella somma era destinata all’associazione «Nessuno tocchi Caino»: un sostegno espressamente vietato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nei giorni scorsi la Cassazione ha scritto la parola fine sulla vicenda ribadendo la scelta del magistrato di sorveglianza che aveva bloccato la lettera. Nello specifico, come evidenziato dalla Suprema Corte, il Dap vieta rapporti epistolari tra i detenuti sottoposti al 41bis e l’associazione «per evitare l’insorgere di proteste della popolazione detenuta». Una misura dettata da motivi di sicurezza e che la Cassazione ha recepito in pieno, evidenziando come non è necessario che la lettera sia pericolosa o faccia riferimento a reati. Basta anche il timore di potenziali disordini per avere l’alt. Duro il commento di Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, presidente, segretario e tesoriera di Nessuno tocchi Caino: «E’ una sentenza inaudita e senza precedenti, che dice l’opposto di quel che siamo e che nega tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni. Non sappiamo a quali circolari i magistrati di sorveglianza piemontesi e i giudici della Cassazione facciano riferimento, quel che sappiamo è che, in questi anni, noi di Nessuno tocchi Caino, come Marco Pannella in tutta la sua vita, non abbiamo fatto altro che convertire ai connotati del Partito Radicale, alla non-violenza, allo stato di diritto e alla legalità costituzionale le carceri e l’intera comunità penitenziaria». I Radica-li continueranno nelle loro campagne anche a rivolgersi ai detenuti al carcere duro: «Se ci sarà ancora consentito, quest’opera la continueremo a svolgere, soprattutto, nei luoghi più bui e violenti del carcere come le sezioni del 41 bis e, in particolare, nei confronti dei condannati all’ergastolo».
sabato, 23 Giugno 2018 - 12:14
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