Tra ‘Fake news’ e analfabetismo funzionale
 Così la deriva formativa e sociale fa spopolare in Italia la politica dell’odio

di Manuela Galletta

Non è solo la scelta delle parole che Matteo Salvini fa per accompagnare la sua linea politica a destare preoccupazione. Ma è la deriva formativa e sociale a suscitare allarme. Basta guardare i social, Facebook in primis, per rendersi conto dello spessore e della qualità della pubblica opinione. Perché i social non sono un universo a sé, come qualcuno si ostina ancora a pensare, affannandosi a rimarcare la differenza tra il virtuale e il reale: etichettando il primo come ‘fogna’, come covo di rancorosi e vivendo, per converso, nella falsa illusione che nel mondo vero lo specchio dei valori sia ribaltato. I social si cibano dei pensieri di persone in carne e ossa, quelle che incontri al bar, quelle che ti trovi accanto a lavoro, quelle con cui condividi una pizza. Ecco perché i social oggi sono lo strumento più efficace per misurare la natura delle idee di chi viene chiamato a votare, di chi ha il potere, nel segreto dell’urna, di scegliere il politico da cui si sente maggiormente rappresentato.

E i social in questo nuovo scenario di post-ideologia restituiscono segnali preoccupanti. C’è un’ondata di rabbia, di rancore, di ricorso sfrenato al turpiloquio e alle offese che lascia perplessi. E’ un’ondata che travolge tutti, dall’operaio al professionista. C’è un’ondata, soprattutto, di impreparazione, di incapacità nel distinguere il vero dal falso. E l’assenza di criticità, la pigrizia nel ricercare, per quanto possibile, la verità sono terreno fertile, troppo fertile, per l’attecchimento di messaggi semplicistici, populistici e violenti. Sono terreno fertile per i fraintendimenti. Per la miopia di visione. Per l’odio. Sono un terreno pericoloso soprattutto se l’impreparazione si intreccia con la povertà e il sentimento di abbandono che si prova quando i partiti, di qualsiasi schieramento, non si mostrano all’altezza di risolvere le emergenze che affannano le famiglie.

«Il sapere rende liberi, è l’ignoranza che rende prigionieri», diceva Socrate. Perché il sapere rende consapevoli. E oggi, a guardare i social, il vero abisso in cui buona parte della popolazione sembra essere sprofondata è quello dell’ignoranza. C’è un fenomeno tutto legato al mondo di Internet che meglio di ogni altro può testimoniare l’analfabetismo funzionale di cui tanto si sente parlare. E’ il fenomeno delle ‘Fake News’, notizie posticce che nascono sul Web e grazie alla fulminante velocità di diffusione che offrono Internet e i social in modo particolare si diffondono. Viaggiano su piattaforme che il più delle volte hanno nomi che rievocano il concetto di informazione, abili civette per un lettore distratto, incapace di cogliere la differenza. E rimbalzano di bacheca in bacheca, liberamente. Finendo con il diventare realtà. Complice anche la massiccia presenza di lettori che si limita a condividere un link senza averne mai letto il contenuto ma fermandosi esclusivamente al titolo.
Ci cascano tutti. Tutte le categorie. Dal laureato, a chi ha la terza media. Qualche esempio, per consentirvi di toccare con mano ciò che stiamo dicendo. Questione migranti, un cavallo di battaglia della Lega e di Matteo Salvini. Ma, a guardare i social e pure degli autorevoli sondaggi, un aspetto che interessa, infiamma e spacca la collettività. Pochi giorni fa in uno dei tanti gruppi che animano l’universo di Facebook girava il video di un uomo di colore fermo sotto una pensilina ad aspettare il bus. Accanto a lui una persona dalla pelle bianca. Sullo sfondo uno sfrenato passaggio di auto. L’inquadratura è stretta sulla fermata e non consente di capire dove il filmato sia stato girato. Tant’è, l’obiettivo si sofferma sull’uomo di colore che, in pieno giorno e in mezzo alla gente, ha un rapporto sessuale con una donna. La scena è vomitevole, i commenti che accompagnano il video lo sono di più. Qualcuno posta il video, dice che accade a Napoli. In piazza Garibaldi. In pochi minuti si scatena una pioggia di commenti. Insulti, proclami di morte all’indirizzo della persona di colore. Critiche pesanti all’indirizzo della pubblica amministrazione. Un fiume d’odio che scorre sul letto di un problema che una parte dei napoletani sente per davvero e che la politica è incapace di risolvere in modo adeguato, alimentando esasperazione e intolleranza per il diverso. Il punto è che quella scena non s’è mai verificata a Napoli. E nemmeno in Italia. Bastava guardare l’unico dettaglio che il filmato non censura per accorgersene: un enorme cartellone pubblicitario tutto scritto in inglese, dal primo all’ultimo rigo. Recante pure un numero telefonico che, è evidente, non corrisponde ai prefissi di casa nostra. Né mobili né fissi. Bastava questo per rendersi conto di essere di fronte ad una bugia lanciata come una bomba per esasperare toni già caldi. Non è stato fatto. E questo la dice lunga sulla capacità di lettura e di riflessione di una comunità.

Proseguiamo con un altro esempio: è da giorni che rimbalza, da una bacheca all’altra, la notizia di un «Tunisino di 32 anni mostra genitali a bambine al parco. Rilasciato perché profugo di guerra». Si assume che il fatto sia accaduto in una non meglio specificata zona della periferia di Torino. E’ evidente che la notizia sia un falso clamoroso: nessuna legge italiana rende immune un profugo di guerra da un reato commesso nel Belpaese. Ma è bastato mostrare la foto del presunto stupratore con tanto di logo della Polizia di Stato in calce per azzerare qualsiasi riflessione. E’ bastato pubblicare il link di un sito che all’interno del suo nome reca la parola ‘news’ (notizie) per far pensare che a divulgare la notizia è stato un mezzo di informazione e dunque vero. Anche qui i lettori che hanno commentato inviperiti – come se i reati di stupro ai danni dei bambini in Italia li commettessero solo persone di colore – non hanno esercitato alcuna capacità di critica, ma soprattutto hanno dimostrato di ignorare il funzionamento dei mezzi di informazione. Certo, le trappole sono ovunque. A volte, come accaduto con la storia (inventata) della passata di pomodoro Mutti contaminata da Arsenico, inciampano anche le testate giornalistiche storiche, tradizionali e accreditate, ma per fortuna il loro margine di errore è bassissimo.

Allora, come fare a riconoscere un sito che si spaccia per mezzo di informazione ma è, al contrario, un portatore sano di Fake News? Non è difficile. Ma bisogna partire da un presupposto fondamentale:
Ogni sito di informazione, al pari dei giornali cartacei, ha l’obbligo di essere registrato al Tribunale di competenza; ha l’obbligo di avere un direttore; ha l’obbligo di avere una sede. Soprattutto ha l’obbligo di rendere pubblici questi dati, pena sanzioni. E’ una sorta di carta di identità del prodotto informativo, la prima spia per capire se si è in presenza di un prodotto in regola. Torniamo alla notizia del tunisino. Il sito che l’ha divulgata si chiama “Euro24news” e si accredita come giornale che riporta “notizie di cronaca dall’Italia, dall’Europa e dal mondo” (è scritto sotto il nome della testata). Messa così, ad un occhio distratto può sembrare tutto normale. Poi però cerchi la gerenza, la famosa carta di identità, e giungono i problemi. Sono due, solitamente, le posizioni delle gerenza: nella home page in basso a tutto; oppure contenuta in una sezione chiamata ‘gerenza’, ‘contatti’ o ‘informazioni’. Euronews24 non ha una gerenza ‘canonica’. Nella sezione contatti trovi solo un indirizzo mail. Niente numero di registrazione al Tribunale, men che meno nome del direttore. Nella sezione ‘informazioni’ trovi invece scritto ‘Euro 24 News non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001’. Non c’è da aggiungere altro per capire che alla storia del famigerato tunisino non può essere dato valore di notizia. Così come non può essere dato valore di notizia alla storia «Matteo Renzi confessa “volevo riempire l’Italia di Africani, me l’ha ordinato la Germania’». La notizia, spacciata per tale, è così assurda che già così sembra un falso. Ma, se non dimentichiamo mai il basso livello di conoscenze di un potenziale lettore, allora è facile capire che l’articolo potrebbe apparire vero. Il sito che la pubblica è “Il-Quotidiano.info”. Ha al suo interno la parola ‘Quotidiano’ e dunque già così sembra un giornale di informazione. Del resto quando entri nel loro sito sotto la testata compare questa dicitura “Giornale di informazione online”. Quindi ti aspetti di trovare la gerenza. Ma ovviamente non c’è. C’è invece nella sezione ‘informazioni’ la vera natura di questo sito: “Il quotidiano.info non è una testata giornalistica a tutti gli effetti (…) Alcune delle notizie riportate potrebbero essere inesatte o inventate a scopo satirico, per far riflettere o semplicemente per divertire». Essendo questa informazione nascosta, ovviamente nessuno ci fa caso. Soprattutto nessuno si prende la briga di documentarsi. E finisce così che la notizia diventi vera. Credibile. Anche perché magari accade che a condividerla sia un professionista, un laureato, un amico di cui hai stima. E dunque si tende a dare per buona una storia che non lo è. Allora torniamo alla deriva formativa, alla mancanza di cultura. Alla mancanza di conoscenza. All’assenza dello stimolo a voler andare fino in fondo. E’ su questo terreno che si gioca, oggi, la vera partita politica dell’Italia. Se non esiste più l’antidoto per respingere con la giusta criticità messaggi di odio e di violenza, sarà impossibile pesare la valenza di questa o quella strategia politica. Sarà impossibile capire e spiegare che in Italia è incostituzionale un censimento per etnia. Sarà soprattutto impossibile capire come e quando protestare nelle forme più adeguate per ottenere la risoluzione dei problemi.

sabato, 23 Giugno 2018 - 14:29
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