Bonafede sfida i magistrati in politica Plauso di A&I, Unicost e Mi frenano Posizioni e proposte delle ‘correnti’

Alfonso Bonafede
Alfonso Bonafede
di Manuela Galletta

Che l’ingresso dei magistrati in politica e soprattuto il loro rientro nella funzione vada rivisto e regolamentato, le ‘toghe’ italiane non l’hanno mai negato. Anzi. E’ da anni che, guardandosi al proprio interno e soprattutto pesando le critiche e la diffidenza della collettività verso il loro debutto in incarichi elettivi, chiedono con forza un intervento legislativo in tal senso, ché la regolamentazione esistente non è sufficiente per tutelare all’esterno l’immagine di imparzialità, di terzietà che pure deve appartenere a un giudice e a un pubblico ministero. Ma l’annuncio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sulla volontà di impedire ai magistrati entrati in politica di rientrare a lavoro dopo la fine della loro esperienza, ha sollevato le perplessità e il disappunto di alcune delle ‘correnti’ che rappresentano giudici e pm e il plauso di qualche altro movimento. Se ‘Autonomia & Indipendenza’, il movimento fondato da Piercamillo Davigo che da tempo è dato vicinissimo alle posizioni dei Cinque Stelle, difende la ‘linea dura’ che vuole perseguire il Guardasigilli, Unicost (corrente di maggioranza e più centrista) e Magistratura indipendente (più spostata verso destra ma moderata) tirano il freno a mano. Vietare a un magistrato di riprendersi la toga dopo essersi candidato ed essere stato eletto, o dopo aver ricoperto incarichi nel ministero, calpesta – è il pensiero comune di Unicost e Mi – l’articolo 51 della Costituzione che garantisce a chi è chiamato a funzioni pubbliche elettivo il diritto di conservare il suo posto di lavoro. E, allora, qual è la strada da intraprendere per dirimere la questione? Ciascuna corrente, con le sue sfumature di pensiero, ha una ricetta da proporre.

La ‘ricetta’ di Unicost
«Il magistrato che rientra in servizio dopo la parentesi politica deve, a nostro avviso, ricoprire un periodo di funzioni di carattere amministrativo – spiega Francesco Cananzi, palesando il pensiero della sua corrente di appartenenza (Unicost) – Non deve cioè tornare subito a svolgere l’incarico di giudice o pm, incarico che tuttavia non gli si può negare». Cananzi indica inoltre la possibilità di mettere sulla bilancia il tempo trascorso da un magistrato in politica per poi decidere in che misura vada ricollocato: «Inoltre riteniamo che debba essere introdotto un criterio di proporzionalità nell’impegno in politica di un magistrato. E allora chi ha avuto lunghe esperienze in politica, potrebbe ad esempio tornare a ricoprire solo cariche amministrative. Quelli con un impegno più contenuto nel tempo potranno riprendere le proprie funzioni dopo però un periodo di funzioni amministrative. E questo stesso metro di giudizio deve valere anche per i magistrati che non vanno in Parlamento ma che comunque hanno ruoli di diretta collaborazione con il ministero». Regolare, dunque, il rientro nella giurisdizione ma non vietarlo. «Certamente la strada da percorrere non può essere quella decadenza del posto di lavoro, perché questa sarebbe una soluzione altamente punitiva. La mia preoccupazione è che, dopo che la politica ha richiesto i magistrati per ricercare fonti di legittimazione, adesso si va nel senso opposto».

La proposta di Magistratura Indipendente
Magistratura Indipendente è, invece, dell’idea che occorrerebbe introdurre dei paletti prima e dopo l’elezione di un magistrato in politica, allo scopo di disegnare in modo corretto il percorso di una ‘toga’. «Se un magistrato esercita la sua professione Napoli e decide di scendere in politica, gli dovrà essere fatto divieto di candidarsi a Napoli e nella provincia, questo sia che voglia proporsi come sindaco, sia che venga scelto come assessore o che si metta in gioco come parlamentare – spiega per Mi Antonio D’Amato, oggi procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere – La candidatura in un distretto diverso da quello in cui si è lavorato metterà il magistrato al riparo da eventuali critiche circa l’esercizio delle sue funzioni, perché qualcuno potrebbe anche leggere nell’attività del magistrato una ragione per aver cercato consensi in questa o quella sponda politica». Il secondo paletto che Mi propone di mettere riguarda invece la modalità di ricollocamento: «Fermo restando che a un magistrato che torna dall’esperienza in politica non può essere proibito di riprendersi la toga a meno che non si cambi la Costituzione, è importante che si stabilisca un periodo di decantazione in ruoli che non siano requirenti o giudicanti, salvo poi tornare alla vita di prima». Mi chiede anche che si regolamenti il rientro in servizio dei magistrati che hanno svolti incarichi di diretta collaborazione con il ministero. «Si deve evitare che questi passaggi si trasformino in un benefici per chi ricopre questi incarichi fiduciari – osserva D’Amato – Quindi anche per queste figure occorre un periodo di decantazione, questo anche allo scopo di eliminare all’interno della magistratura stessa la convinzione che nel nostro mondo esistano delle corsie preferenziali».

La posizione di Autonomia e Indipendenza
Si assesta, invece, su una posizione oltranzista ‘Autonomia e Indipendenza’, la ‘giovanissima’ corrente fondata da quel Piercamillo Davigo che ha sempre mal digerito l’idea dei magistrati in politica. «I magistrati non sono in grado di fare politico», è il Davigo pensiero ormai noto a molti. Così come è nota la frase, ripetuta più volte alla stampa, che i magistrati dovrebbero occuparsi di politica sono nel momento in cui i politici rubano. Ecco, dunque, che ‘Autonomia e Indipendenza’ accoglie oggi senza riserve l’annuncio di Alfonso Bonafede di abolire le cosiddette ‘porte girevoli’. «L’impossibilità che un magistrato lanciatosi in politica torni a fare il magistrato è una delle ragioni fondanti del nostro gruppo – commenta il giudice Francesco Valentini, una lunga esperienza nella Direzione distrettuale antimafia di Napoli e membro del Comitato direttivo centrale di ‘A&I’ – Siamo fortemente convinti che la partecipazione alla vita politica di un magistrato incida inevitabilmente sulla credibilità di un magistratura e dunque sull’intera magistratura». E, allora, secondo ‘A&I’ per un magistrato che interrompe la sua esperienza in politica c’è solo la possibilità di ricoprire incarichi nella pubblica amministrazione di egual grado a quelli svolti quando indossava la toga. «Ma in alcun modo un magistrato deve rientrare nella giurisdizione. Chi veste i panni del politico perde inevitabilmente, agli occhi dei cittadini, l’immagine di indipendenza e di terzietà che è imprenscindibile per un magistrato».

I magistrati che diventano sindaci
e la doppia carica non vietata dalla legge
Resta, infine, il nodo dei magistrati che ricoprono incarichi a livello locale, come quello di sindaco. Oggi la legge consente ad un magistrato di esercitare la sua funzione ma anche quella politica. Le ‘correnti’ sono tutte dell’idea che occorrerebbe introdurre il paletto dell’aspettativa.

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lunedì, 2 Luglio 2018 - 13:04
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