Omicidio Materazzo, il perito ‘aiuta’ Luca
e la difesa insinua il dubbio sul delitto: «L’aggressore era più alto della vittima»

Luca Materazzo
L'imputato Luca Materazzo
di Dario Striano

Tra le quaranta e le quarantacinque coltellate inflitte con forza su gran parte del corpo. La maggior parte, quelle letali, all’altezza del cuore e di entrambi i polmoni. Poi, in un secondo momento quelle alle spalle, alla schiena, ai fianchi e al viso, all’altezza delle orbite, con colpi partiti tutti dalla stessa altezza. Quindi il taglio finale, quello alla gola, quello della ferita di otto centimetri di estensione sul collo della vittima. Infine, le tracce di sangue ovunque. «Sul marciapiede, sul pavimento del palazzo, c’era sangue dappertutto». Un omicidio atroce quello ai danni di Vittorio Materazzo, consumatosi il 28 novembre 2016, in prima serata, a via Margherita di Savoia, sotto casa del professionista, nel ‘salotto buono’ di Napoli. Un omicidio, raccontato nei minimi dettagli ieri in tribunale dal medico che ha condotto l’esame autoptico del cadavere, su cui gli avvocati di Luca Materazzo hanno provato ad insinuare il dubbio. Già, perché Luca, fratello di Vittorio, è l’unico presunto responsabile del delitto individuato fino a questo momento dalla procura partenopea. E Luca, o meglio un destrimano come Luca, stando alla relazione tecnica letta ieri mattina in aula  – e già acquisita dalla Corte di Appello di Napoli (presidente Giuseppe Provitera) -, «è altamente improbabile» che sia stato l’autore della cruenta aggressione. Come in un certo senso ha scritto il medico legale a pagina 17 del suo referto. «E’altamente improbabile che sia stata usata la mano destra nel colpire la vittima – ha letto il professionista – anche se – precisa -, è impossibile poterlo stabilire con esattezza». Una circostanza che può giocare a favore della strategia difensiva dell’imputato. Non l’unica, perchè i colpi inflitti con la lama («non inferiore ai 7 centimetri di lunghezza e non inferiore ai 2,5 centimetri di spessore») sarebbero stati inferti tutti dall’alto verso il basso. Secondo la difesa dunque sarebbe altamente improbabile che un uomo alto quanto l’ingegnere Vittorio Materazzo, sia stato assassinato da una persona di più modesta statura come Luca che, latitante per circa un anno, ha sempre professato la sua estraneità alle accuse contestate. Accuse pesanti, quelle di omicidio premeditato e aggravato dall’esser stato eseguito ai danni di un familiare. «Quando era latitante anche io ho pensato che in realtà potesse essersi tolto la vita». Anche Simona Materazzo, sorella di vittima e imputato, così come l’altra sorella Maria Vittoria – già ascoltata durante il processo – ha dichiarato con la voce rotta da un timido pianto di aver pensato che Luca potesse essersi tolto la vita. «Credevo – continua – che non riuscisse a convivere con le accuse mosse nei suoi riguardi». La donna è stata la prima a soccorrere, invano, la vittima dell’aggressione, quando questa era ancora in vita. Già, perché, per il medico legale, il cuore dell’ingegnere avrebbe cessato di battere, nonostante i tanti colpi inferti, «dieci minuti dopo l’inizio del raid», iniziato all’interno del palazzo e culminato in strada. «Ho sentito le urla e mi sono affacciata al balcone. Ho pensato a un incidente. Sono scesa in strada, preceduta da mio cugino e sul marciapiede ho visto un corpo, ma non ho riconosciuto mio fratello». D’altronde, il suo volto era irriconoscibile. «C’era sangue dappertutto».

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venerdì, 13 Luglio 2018 - 17:30
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