Ucciso perché troppo fedele agli Amato Ricostruito il delitto di Antonino D’Andò Le dichiarazioni dei pentiti

La polizia

All’alba di questa mattina gli agenti della Squadra Mobile di Napoli hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare che ha disposto la custodia in carcere nei confronti di 7 indagati, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di soggetti ritenuti responsabili dell’omicidio per lupara bianca di Antonino D’Andò, scomparso il 22 febbraio 2011, ritenuto uno dei luogotenenti di Carmine Amato, a sua volta erede di Raffaele Amato classe 65, uno dei capi della consorteria camorristica Amato-Pagano.

Le attività di indagine – fondate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni ed un’ampia messe di riscontri – hanno consentito di fare luce su presunti mandanti ed esecutori di un omicidio ‘eccellente’ che costituì un’epurazione interna decisa da una componente del clan. Secondo gli inquirenti a decidere la morte di D’Andò fu decisa dal gruppo facente riferimento a Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano e designato a capo dell’organizzazione criminale,  ai danni della componente che faceva riferimento agli Amato.

Il D’Andò, si apprende dagli atti, venne assassinato ed il suo cadavere fatto sparire non per dissimulare la responsabilità dell’omicidio, ma quale ultimo atto di affronto nei riguardi di un affiliato rimasto fedele agli Amato e che non vedeva di buon occhio la leadership di Riccio.

La vittima fu attirata in trappola, venendo convocata per una riunione in uno dei covi del clan, per essere subito ucciso da un soggetto, legato da vincoli di sangue ai Pagano, che così se ne assunsero la diretta responsabilità, e poi sepolto in un terreno incolto rimasto ignoto.

martedì, 2 Ottobre 2018 - 10:33
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