Lo scandalo, la sospensione dal lavoro di magistrato che potrebbe tramutarsi in una radiazione e, pochi giorni fa, la condanna. Pesante, pesantissima. Il giudice Gaetano Amato è stato condannato mercoledì scorso per violenza sessuale e produzione e diffusione di materiale pedopornografico. Sette anni di reclusione è la pena sentenziata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina all’esito del processo definitosi col rito abbreviato. L’accusa ha accertato che Amato, quando era giudice della Corte d’Appello di Reggio Calabria, ha ripreso col cellulare due ragazzine di 16 anni mentre dormivano, ne ha spogliata una, l’ha toccata continuando a girare le immagini. Poi ha messo in Rete il video. Nel suo pc gli inquirenti trovarono file scabrosi con protagonisti minori. Arrestato un anno fa, dopo qualche mese è stato messo ai domiciliari in un centro di cura per persone affette da disturbi sessuali. Intanto il Csm l’ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e ha aperto un procedimento disciplinare che potrebbe chiudersi con la radiazione. L’inchiesta che ha portato al processo è stata coordinata dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Giovannella Scaminaci. Il reato contestato al magistrato è il 600-Ter del codice penale che punisce chi sfrutta minorenni per realizzare esibizioni pornografiche o produrre materiale pornografico. Il reato fu commesso a Messina, città d’origine di Amato. Al momento dell’arresto il giudice era in servizio alla sezione penale della Corte d’appello di Reggio Calabria. In precedenza era stato alla sezione civile. Trascorsi i dieci anni, era passato al penale dove ha fatto parte anche di collegi di Corte d’assise e della sezione misure di prevenzione. Nel 2009, quando lavorava come giudice a Messina, Gaetano Amato subì un procedimento del Csm per un ritardo nel deposito di alcune sentenze. Nella contestazione si rilevava come ci fossero troppi provvedimenti del magistrato presentati oltre i termini. A Palazzo dei Marescialli lo avevano dichiarato colpevole e sanzionato con un’ammonizione. Nel giugno del 2016 a Reggio Calabria, fu tra i promotori di una iniziativa della Corte d’appello a difesa di una collega finita al centro delle polemiche per non avere osservato i tempi per la redazione delle motivazioni della sentenza del processo ‘Cosa mia’ sulle cosche di ‘ndrangheta di Rosarno, circostanza che avrebbe portato alla scarcerazione di tre presunti affiliati alle ‘ndrine.
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venerdì, 12 Ottobre 2018 - 12:03
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