La disposizione, inconsueta, è arrivata dalla procura della Repubblica di Milano: fino al giorno dell’autopsia nessuno potrà vedere il corpo di Imane Fadil, la 34enne maghrebina il cui nome è legato al processo contro Silvio Berlusconi per il caso Ruby ter e morta in ospedale a Milano dopo un’atroce agonia di un mese provocata dal deterioramento degli organi interni. Neppure amici e parenti. C’è il sospetto che Imane sia stata avvelenata, come lei stessa andava ripetendo al fratello e all’avvocato. C’è il sospetto, soprattutto, che sia stata avvelenata con scorie radioattive. E, proprio questa circostanza, ha fatto scattare il protocollo precauzionale e il divieto di avvicinamento.
Ma le certezze potranno arrivare solo dall’autopsia. Quella che l’autopsia ha disposto non appena è stata resa nota la notizia della morte di Imane. E anche su questa circostanza porta con sé un piccolo giallo: la 34enne è deceduta il primo marzo, ma solo con estremo ritardo gli inquirenti ne sono stati informati. La procura ha disposto accertamenti radiologici e ha nominato anche un pool di anatomopatologi guidati dalla dottoressa Cristina Cattaneo, che si è occupata anche di casi di Elisa Claps, Yara Gambirasio e Lidia Macchi. Ai consulenti della procura spetta confermare o smentire l’esito parziale di un test di laboratorio che conferma la causa radioattiva dell’avvelenamento (sono state trovate tracce di cobalto ionizzato nell’organismo di Imane).
Intanto vanno avanti gli interrogatori di medici e amici di Imane Fadil: la procura vuole ricostruire gli ultimi mesi di vita della 34enne per capire se all’interno della sua cerchia di conoscenti ci fosse una persona che la odiasse a tal punto da provocarne la morte. Si indaga per omicidio volontario ma, per ora, contro ignoti.
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lunedì, 18 Marzo 2019 - 09:36
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