Avellino, bus in scarpata: strage evitabile Le motivazioni della sentenza: «Barriere non in buone condizioni», tutte le colpe

strage bus Avellino
La strage del bus ad Acqualonga (foto Kontrolab)
di Manuela Galletta

La barriera di sicurezza del viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa non era in buone condizioni di manutenzione. Se lo fosse stata «le conseguenze» del terribile incidente che si verificò il 28 luglio del 2013 e che provocò la morte di 40 persone sarebbero state «quelle di un grave incidente stradale, ma non quelle del disastro». E le cattive condizioni di manutenzione di quelle barriere – che non riuscirono a contenere la folle corsa del bus, finito nella scarpata – vanno addebitate ai direttori e ai responsabili del sesto tronco di Cassino perché essi avevano l’obbligo della «programmazione ed esecuzione di un’adeguata attività di monitoraggio e manutenzione», mentre nessuna «condotta omissiva colposa» può addebitarsi ai vertici di Autostrade per l’Italia perché «nessuna norma imponeva la sostituzione delle barriere esistenti sul viadotto e le norme subentrate alla loro installazione non hanno stabilito che tutte le barriere preesistenti dovessero essere sostituite», quindi da parte loro non è stata commessa la violazione «di alcuna regola cautelare nella loro attività».

E’ con queste articolate motivazioni, contenute in un carteggio di 218 pagine depositate ieri, che il giudice monocratico Luigi Buono ha spiegato il perché, lo scorso 11 gennaio scorso, ha firmato la sentenza di condanna di otto persone e l’assoluzione di altre sette per la strage del bus precipitato dal viadotto, una strage che il giudice definisce – in linea con quanto asserito dalla procura, «uno dei più gravi incidenti mai verificatisi sulle strade europee». Una sentenza, ricordiamo, che suscitò le urla e la rabbia dei parenti delle vittime presenti in aula: «Castellucci è un assassino», «Assassini, è uno schifo», «Vergogna», «Venduti», «Esci, ti aspettiamo» (frase rivolta al giudice) furono alcune delle manifestazioni di rabbia esplose in Tribunale. I parenti delle vittime contestavano l’assoluzione dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci (per il quale la procura aveva chiesto 10 anni) e quella di altri alti dirigenti della società, ossia Michele Maietta (uno dei dirigenti che dal 2010 si sono succeduti alla direzione del VI Tronco di società Autostrade a cui è affidata la manutenzione e la sicurezza), Massimo Fornaci (responsabile del settore Pavimentazione e barriere di sicurezza), Marco Perna (responsabile del progetto di “sostituzione e potenziamento delle barriere di sicurezza” dell’A16 Napoli-Canosa), Antonio Sorrentino, coordinatore del Posto di manutenzione-Centro di servizio. Nelle articolate motivazioni, tuttavia, il giudice ha ripercorso con dovizia di particolari il perché non è ravvisabile alcuna loro responsabilità nel tragico evento.

Ma ha anche specificato che la mancata manutenzione delle barriere fu una delle concause del disastro, tanto è vero che per questa ragione, lo scorso 11 gennaio, si è arrivati comunque alla condanna di dipendenti della società Autostrade, il che significa che il verdetto non ha fatto svuotato di sostanza l’impostazione accusatoria ma ha accuratamente diviso i ruoli e le responsabilità. Per le condizioni di manutenzione inadeguate delle barriere furono condannati i funzionari della concessionaria, ma a pene più basse rispetto a quelle invocate dalla pubblica accusa: 5 anni per Michele Renzi e Bruno Gerardi; 6 anni invece per Gianluca De Franceschi; 5 anni e sei mesi a Gianni Marrone; 5 anni e 6 mesi per il direttore del tronco autostradale Paolo Berti; 6 anni per Nicola Spadavecchia. Per tutti la richiesta era di 10 anni. A questi imputati, ha spiegato il giudice va attribuito il 40% del «contributo causale dell’evento».

Un 30% di responsabilità nel disastro, invece, è stato addebitato a Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia di viaggi che mise a disposizione il bus utilizzato per la visita a Pietrelcina. Lametta, condannato a 12 anni di reclusione, lasciò circolare il bus «in pessime condizioni», e infatti proprio un terribile guasto del veicolo determinò lo sbandamento del veicolo e l’impossibilità per il conducente – fratello di Lametta e morto nel disastro – di controllare la folla corsa del mezzo. Il restante 30% di responsabilità viene invece suddiviso tra un funzionario della Motorizzazione civile che avrebbe dovuto revisionare il veicolo e Ciro Lametta, il conducente del mezzo. La colpa pari al 18% attribuita all’ex funzionaria della Motorizzazione Antonietta Ceriola (condannata a 8 anni) è stata quella di avere dato ok alla revisione del veicolo quando invece essa sostanzialmente non venne fatta: la donna fornì carte false dando così il via libera alla circolazione del bus che era in pessime condizioni. Infine il giudice rivela che l’autista del bus fu responsabile al 12% perché ai primi segnali di guasto (di cui hanno riferito alcuni sopravvissuti) non fermò il mezzo, se l’avesse fatto – annota il giudice – «avrebbe potuto evitare la tragedia».

Leggi anche:
– Commercio di carburante senza versare l’Iva: sequestrati 48 milioni, 19 indagati Coinvolte 14 società, in 5 ai domiciliari
– Blitz nel centro d’accoglienza per migranti, sequestrati 66 scooter: alcuni erano provento di furto nel Napoletano | Video
– Incidente allo Stir di Giugliano: operaio muore sul posto di lavoro, schiacciato da un muletto
Camorra, processo a 16 del clan D’Amico: proposta in Appello la conferma delle pene disposte all’esito del dibattimento
Marsala, un altro mistero e ancora dolore: Gianni Genna, 27 anni, trovato morto L’autopsia chiarirà le cause del decesso

giovedì, 11 Aprile 2019 - 11:55
© RIPRODUZIONE RISERVATA