Nonostante fosse stato espulso dalla magistratura dopo lo scandalo, Francesco Bellomo ha continuato ad insegnare. Ha continuato a preparare aspiranti magistrati. E ha continuato a farlo nel capoluogo pugliese dopo avere rilevato la società ‘Diritto e scienza’ che gestisce l’omonima scuola di formazione dove insegnava.
Le lezioni però adesso sono finite. Francesco Bellomo, l’ex giudice del Consiglio di Stato che imponeva alle allieve la sottoscrizione di un assurdo contratto contenenti le regole per potere seguire i corsi, è agli arresti domiciliari. L’ordinanza di custodia cautelare a firma del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari Antonella Cafagna racchiude tutta l’assurda storia di umiliazione cui le sue allieve sono state sottoposte. E racchiude anche le ipotesi di minacce e calunnia ai danni dell’attuale premier Giuseppe Conte, che all’epoca dei fatti era vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, e di Concetta Plantamura, componente dello stesso organismo e consigliera del Tar Lombardia. Per questi due reati Bellomo è però indagato a piede libero perché il gip ha rigettato la misura ritenendola «certamente inadeguata»: «la richiesta del Pubblico Ministero è del tutto generica riguardo ai reati per i quali il trattamento cautelare è da applicare, non contenendo in proposito alcuna specificazione», scrive il gip. I domiciliari invece sono stati disposti per i reati di maltrattamenti ed estorsione ai danni di alcune allieve dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura (organizzati nelle sedi di Bari, Roma e Milano dalla Scuola di Formazione Giuridica Avanzata ‘Diritto e Scienza’ gestita dall’omonima società con sede legale a Bari), di cui Bellomo era docente e direttore scientifico.
Nelle 99 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è di tutto. C’è la storia del dress code (minigonne e tacchi a spillo) imposto alle studentesse; c’è il divieto di sposarsi pena la decadenza dalla scuola; c’è «il divieto di avviare o mantenere relazioni intime con soggetti che non raggiungessero un determinato punteggio». Obblighi e divieti, scrive il gip, «del tutto estranei alle finalità di una scuola di formazione giuridica e di preparazione al concorso di magistratura». Per il gip, infatti, «l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia». Secondo «la concezione ‘bellomiana’ dei rapporti interpersonali», le vittime sarebbero state prima «isolate, allontanandole dalle amicizie», quindi Bellomo ne avrebbe tentato una «manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento» con successivo «controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé». Emblematico lo sfogo di una delle vittime che, riferendosi a Bellomo, dice: è «come se si fosse impossessato della mia testa».
Il ‘controllo’ che Bellomo sarebbe riuscito ad esercitare spiega, secondo il gip, il perché le sue allieve abbiano subito in silenzio punizioni e umiliazioni. L’umiliazione, ad esempio, di essere messe alla berlina sulla rivista della scuola. Bellomo, infatti, non esitava a pubblicare particolari delle condotte intime di chi andava ‘sanzionato’. In una occasione Bellomo avrebbe anche bandito un «concorso tra i corsisti lettori» con in palio l’iscrizione gratuita al corso dell’anno successivo «per chi avesse fornito la migliore spiegazione dei comportamenti della ragazza» messa alla gogna. In uno dei messaggi rivolti invece ad una ricercatrice della scuola “colpevole” di essere uscita di sera senza la sua autorizzazione, scriveva: «Non autorizzerò più uscite serali e mentre attendevo che ti facessi viva, mi sono fatto una lesione al pettorale, perché ho perso la concentrazione. Questo significa avere a fianco un animale. Perché tu sei così». «Gli animali non conoscono dispiacere – scriveva in un altro messaggio – La decisione di uscire ieri sera è l’ennesima riprova del tuo dna malato. Agisci come un selvaggio, ignorando le regole». Bellomo pretendeva “dedizione” come «l’obbligo di rispondere immediatamente alle sue telefonate e messaggi abbandonando qualsiasi attività, anche lavorativa, in cui fosse in quel momento impegnata». Lui doveva essere per lei una «assoluta priorità». All’indomani dell’ennesimo litigio, dopo le scuse della ragazza, lui avrebbe preteso che «si inginocchiasse e gli chiedesse perdono». «Non ha il significato della sottomissione – scriveva in un altro messaggio – ma della solennità. Con le forme rituali».
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martedì, 9 Luglio 2019 - 13:54
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