Perrotta ucciso nella faida di Scampia: perno dell’inchiesta le accuse del pentito Ambra, i ruoli di tutti gli indagati

Procura di Napoli (foto Kontrolab)
di Manuela Galletta

«Non sono in grado di trovarlo.. fammi vedere se è questo… ucciso un 27enne….». E’ il 15 febbraio del 2015 quando gli inquirenti registrano una singolare conversazione tra Pasquale Marino e una donna a di nome Tonia. Giuseppe Ambra, uomo del gruppo Abete-Abbinante-Notturno, è da poco passato a collaborare con la giustizia e non appena la notizia si diffonde tra gli uomini del clan, le ‘cimici’ piazzate dalla Dda nell’ambito di indagini sugli equilibri di camorra a nord di Napoli restituiscono un’insolita fibrillazione.

Pasquale Marino consulta nervosamente il telefonino, si comprende che sta cercando un video. Il video relativo alla cronaca giornalista sull’omicidio di Mario Perrotta, dicono gli inquirenti. Un delitto risale all’8 ottobre del 2012 e consumatosi all’interno di un garage a Miano. «Guarda quanti botte a terra… Questo è quello che so io.. poi non so.. se sono stati loro…», dice Marino. Anche Tonia è preoccupata e domanda: «Ma tu pensi che solo per questo può avere tutti questi anni? Ma sei sicuro?». E Marino afferma: «Sì». Per la Dda di Napoli è chiaro che i due stanno parlando di Vincenzo Brandi, fratello di Marino, e stanno parlando del suo coinvolgimento nell’omicidio di Mario Perrotta. Un omicidio al quale Giuseppe Ambra, neo-pentito, ha partecipato. I timori dei due interlocutori sono legati proprio alla scelta di Ambra di parlare con i pm, perché sanno che potrà tirare a picco anche Brandi. Marino a questo punto, quasi rassegnato, osserva che non si può fare altro che attendere l’evolversi degli eventi: «Quello che succede te l’ho detto… si deve vedere sempre se è credibile, perché mio fratello non è uno scemo… Può che essere che il pentito non è credibile…». La speranza di Marino è dettata dal fatto che Ambra non sappia che fine abbiano fatto le armi del delitto, perché Brandi era solito «prendere le pistole» e «andarle a buttare solo lui». «Se non trovi le armi, come fai a sapere che è stato lui?», ragiona Marino.

Questo dialogo rappresenta oggi uno degli elementi sui quali poggia l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a firma del gip Saverio Vertuccio del Tribunale di Napoli che stamattina ha colpito sei esponenti del clan Abete-Abbinante-Notturno. Quattro destinatari del provvedimento erano liberi e sono stati arrestati dagli uomini della Squadra Mobile di Napoli: si tratta di Raffaele Notturno, Armando Ciccarelli, Vincenzo Brandi e Antonio Finelli. L’ordinanza invece è stata recapitata in prigione ai già detenuti Giuseppe Montanera e Salvatore Baldassarre, i cui nomi sono legati all’omicidio dell’innocente Lino Romano, ammazzato il 12 ottobre del 2017 a Miano sotto casa della fidanzata perché scambiato per un uno della Vanella Grassi. Baldassarre è stato condannato in via definitiva all’ergastolo come esecutore materiale: quella maledetta sera scaricò 21 colpi di pistola sul povero Lino, senza avvedersi dell’errore. Notturno, Ciccarelli, Brandi, Montanera e Baldassarre rispondono di omicidio aggravato dall’uso delle armi, dai motivi futili e abbietti e dalla matrice camorristica. Finelli invece risponde solo di detenzione illegale di arma aggravata dalla matrice camorristica perché avrebbe procurato a Brandi una delle pistole usate per il delitto.

Secondo la prospettazione accusatoria tratteggiata dal pm antimafia Maurizio De Marco, il mandante fu Armando Ciccarelli – che, per conto del clan, guidava il gruppo di fuoco dello chalet Bakù -, mentre Montanera, Notturno e Baldassarre diedero il loro benestare. Alla fase esecutiva parteciparono invece Ciccarelli e Brandi, che usarono due pistole per uccidere Perrotta. Il bersaglio fu raggiunto da 7 colpi di pistola al capo, all’addome e al tronco. A sostegno di questa ricostruzione ci sono le dichiarazioni di numerosi pentiti del gruppo Abete-Abbinante-Notturno, tra i quali Giovanni Marino e i fratelli Gaetano e Carmine Annunziata (tutti e tre già condannati per l’omicidio di Lino Romano), Pasquale Riccio e Giuseppe Ambra. Ad eccezione di Ambra, tutti i pentiti che hanno riferito particolari sull’omicidio Perrotta non sono stati testimoni diretti di alcuna fase, né quella relativa al mandato né quella relativa all’esecuzione: Riccio ad esempio ha appreso da Ambra le informazioni durante la loro detenzione comune a Secondigliano; Gaetano Annunziata sostiene di avere saputo da Giovanni Vitale cosa fosse accaduto perché si era trovato presente nel covo di Montanera il giorno dopo il delitto quando i killer si recarono lì per fare un resoconto (ma non sentì la discussione). L’unico testimone diretto è Giuseppe Ambra, che senza mezzi termini accolla a Ciccarelli la responsabilità di avere deciso la morte di Perrotta e indica in se stesso e in Brandi due componenti del gruppo di fuoco. Sul conto di Notturno, Baldassarre e Montanera, Ambra però dichiara «che essi erano a conoscenza» della volontà di Ciccarelli di commettere il delitto «ma non sono stati mandanti». Un passaggio controverso che potrebbe diventare oggetto di scontro tra la procura e la difesa in sede di Riesame.

Quanto al movente, Perrotta venne ucciso perché legato al gruppo Leonardi: in quel periodo storico era infatti in corso una faida tra gli Abete-Abbinante-Notturno e il cartello composto dalla Vanella Grassi-Leonardi-Marino (tutti e due i gruppi si erano scissi dagli Amato-Pagano) per il controllo delle piazze di spaccio di Scampia e Secondigliano.

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martedì, 9 Luglio 2019 - 12:32
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