Cucchi, quella riunione segreta dei carabinieri: disposto il processo di otto militari per depistaggio

Stefano Cucchi

Prima che il giudice dell’udienza preliminare Antonella Minunni del Tribunale di Roma decidesse se accogliere la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura, il generale dei carabinieri Alessandro Casarsa ha voluto prendere la parola e rendere dichiarazioni in merito al suo coinvolgimento nel depistaggio sulle indagini avviate per accertare le responsabilità della morte di Stefano Cucchi: «Per me la vicenda Cucchi è iniziata a partire dal 27 ottobre quando ho chiesto al colonnello Cavallo, mio collaboratore, di raccogliere le relazioni di servizio che erano state realizzate da chi era entrato in contatto con l’arrestato per uno spaccato della vicenda, in quel momento. Ma io non ho mai sentito parlare di altre annotazioni di servizio o di modifiche fatte alle prime relazioni», ha fatto mettere a verbale Casarsa, imputato di falso ideologico perché – secondo l’accusa – avrebbe dato l’input, poi trasmesso a cascata a tutta la scala gerarchica dei carabinieri dell’epoca, di modificare due annotazioni di servizio relative allo stato di salute di Cucchi che, poche ore dopo l’arresto e il pestaggio nella caserma della stazione Appia, venne portato in condizioni già critiche presso la stazione di Tor Sapienza.

Quelle annotazioni, secondo la procura, furono falsificate allo scopo di «procurare l’impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso». «Nell’interrogatorio dello scorso gennaio, poi, mi fu chiesto dal pm come fossi stato a conoscenza di alcuni dati, poi inseriti in una mia annotazione datata 30 ottobre 2009 nella quale davo alcune indicazioni di carattere medico. Non ricordavo all’epoca quale fosse la mia fonte, poi ho ricostruito la vicenda – ha aggiunto l’alto ufficiale dell’Arma – e oggi posso affermare che il pomeriggio del 30 ottobre 2009, dopo che la mattina aveva fatto un rapporto al Comando provinciale a seguito di una riunione nella quale il Comandante provinciale voleva verificare guardando in faccia le persone che avevano titolo nella vicenda quale fosse stata la situazione, sono andato nel pomeriggio al Comando provinciale dove ho avuto queste indicazioni che poi ho dettato al colonnello Cavallo. Al comando provinciale il contatto che io avevo come comandante del gruppo era con il comandante provinciale. Non ho mai avuto contatti né con i magistrati né con i medici legali in merito a questa vicenda», ha concluso Casarsa.

In queste dichiarazioni c’è chi ha inteso leggere un riccio al generale Vittorio Tomasone, che all’epoca era comandante provinciale di Roma e da gennaio 2018 è comandante interregionale Ogaden. Fino a oggi Tomasone è entrato nella vicenda Cucchi solo in relazione alla sua deposizione avvenuta il 27 febbraio scorso, nella veste di testimone, nel processo in corso davanti alla Corte d’Assise dove figurano imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati dal pm Giovanni Musarò di omicidio preterintenzionale. Nel corso di quella deposizione Tomasone, rispondendo a diretta domanda del pm, escluse con forza di essersi mai interessato delle questioni medico-legali legate alle cause della morte di Cucchi. Ma le dichiarazioni di Casarsa cambiano la prospettiva e potrebbero spingere la procura verso una nuova direzione.

Allo stato resta la decisione che il gup Minunni ha adottato nel primo pomeriggio di ieri, martedì 16 luglio, dopo la camera di consiglio: gli otto carabinieri imputati, tutti componenti della catena di comando che secondo gli inquirenti avrebbero cercato di insabbiare la verità su quanto accaduto la notte dell’arresto di Cucchi nella caserma dei carabinieri Appia, sono stati rinviati a giudizio. Oltre a Casarsa, il processo è stato disposto per il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo di Roma, accusato di omessa denuncia; Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello capoufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, già comandante della Compagnia Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio a Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, già comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo e il carabiniere Luca De Cianni. Nel procedimento l’Arma dei carabinieri si è costituita parte lesa.

Il dibattimento prenderà il via il 12 novembre dinanzi al giudice della settima sezione penale del Tribunale di Roma. Si tratta del quarto processo scaturito dalla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre del 2009: dopo quello a carico di alcuni agenti della penitenziaria (tutti assolti), è in corso quello di secondo grado ai medici dell’ospedale Sandro Pertini (dove Cucchi morì) e quello davanti alla prima Corte d’Assise che vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Proprio nel corso di questo procedimento uno dei carabinieri imputati, Francesco Tedesco, ha deciso di raccontare la verità su cosa accadde la notte dell’arresto, accusando i colleghi Raffaele D’Alessandro (di Villaricca) e Alessio Di Bernardo di avere pestato il geometra romano.

mercoledì, 17 Luglio 2019 - 14:42
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