Autonomia, Di Maio stoppa le pretese del Nord e prova a screditare la Lega sulla Tav: «Ha bisogno dei voti del Pd»

Luigi Di Maio
di Roberta Miele

C’è un filo rosso che collega tutti i temi affrontati da Luigi Di Maio a margine della presentazione dell’Osservatorio sul regionalismo differenziato all’Università Federico II di Napoli: le divergenze con gli alleati di governo leghisti. A partire dalla stessa autonomia differenziata, tema per cui il vicepremier è stato accolto nell’Aula Pessina da un parterre di accademici, studiosi e giornalisti.

«L’Osservatorio avrà un ruolo molto importante – commenta il vicepremier – Non solo per seguire il processo, ma anche per alimentare un movimento culturale». Percorso a cui, continua Di Maio, si stanno avvicinando anche gli atenei del Nord. L’autonomia, almeno così come imbastita nella bozza di febbraio ormai «stravolta», sembra essere scongiurata. Ma, dice Di Maio, la riforma si farà anche se in maniera diversa da come richiesto da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. E metterà al centro temi come i livelli essenziali di prestazione e il fondo di perequazione, ma anche investimenti straordinari al Sud. Dunque, «è già fuori» dal testo il criterio del «costo medio» che aumenterebbe la spesa pubblica. Nemmeno la questione della spartizione delle competenze tra Stato e regioni può essere affrontata per il ministro se prima non si affronta il «tema della solidarietà nazionale». «Ma tutto ciò che potremo concedere» sarà fatto col principio per cui «tutti potrebbero chiedercelo».

Poi Di Maio lancia una stoccata al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che ha inviato una sua proposta di autonomia al ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie Erika Stefani, sostenendo che la richiesta di alcune «regioni del Sud» di partecipare al tavolo sull’autonomia non fanno altro che «legittimare il processo» chiesto dal Nord. Un’affermazione che poche ore dopo, a margine dell’inaugurazione del nuovo deposito di smistamento Amazon ad Arzano (Napoli), De Luca bolla come «una stupidaggine», sottolineando in maniera provocatoria come anche «i Cinque Stelle si sono svegliati» sul tema. «La richiesta della Campania – ribadisce De Luca – è quella di  sburocratizzare i rapporti tra centro e periferia. La posizione della Campania è rigorosamente attenta all’unità nazionale, alla difesa della scuola pubblica, all’unità della sanità nazionale».

La trattativa tra ministri e governatori, comunque, prosegue ma nelle sedi opportune: «Se si deve coinvolgere un’assise, quella è la conferenza Stato-regioni», permettendo a tutte le regioni di essere coinvolte. Altro tassello importante che influenzerà la trattativa, sottolinea il vicepremier, sarà l’emendabilità dei testi che verranno presentati alle camere, per i quali auspica che i presidenti trovino un accordo. Il principale «della Camera dei deputati Roberto Fico già si è detto disponibile». È con questi presupposti che l’autonomia andrà avanti, spiega. E in questo momento l’accademia è fondamentale. «L’accademia è la camera di decompressione della politica. Oggi abbiamo bisogno di atenei uniti che portino ragionevolezza alla politica», conclude.

Una contrapposizione evidente con la Lega che invece vuole portare a conclusione il federalismo così come ipotizzato, soprattutto dal punto di vista fiscale: con l’utilizzo del criterio della spesa storica per la distribuzione delle risorse. Scontro palese quando il tavolo al Consiglio dei ministri è saltato su scuola e gabbie salariali. Ma la tensione tra le parti è palpabile su più punti. Lo conferma Di Maio stesso che glissa sulla domanda sul decreto Sicurezza bis con un «è stato già votato alla Camera» ed effettua una traslazione sulla triste vicenda del carabiniere ucciso a Roma venerdì notte. L’argomento ‘Sicurezza bis’, del resto, è assai scomodo per i grillini. Basti pensare che pochi giorni, proprio in occasione del voto alla Camera, 17 grillini erano assenti (Di Maio ha parlato di assenze giustificate o di deputati in missione), mentre Roberto Fico è uscito dall’Aula poco prima. La pentastellata Doriana Sarli è stata l’unica del Movimento ad avere votato contro.

Sulla Tav, invece, Di Maio alza le mani. Il leader grillino mantiene la linea contro l’Alta velocità in Val di Susa: “duri e puri”, insomma. E la mozione pentastellata al Senato che impegna il parlamento a bloccare la grande opera dovrebbe esserne la dimostrazione concreta. «Se la Lega va avanti ad armi pari, senza usare il voti del Pd – spiega Di Maio – ha meno voti di noi in Parlamento. Se, invece, usa i voti del Partito Democratico, potrà vincere in Parlamento. Ma dipende da come vinci, non è tanto vincere ma come hai vinto». Un tentativo di spostare i riflettori sugli alleati di governo che, per il leader pentastellato, dovranno «usare i voti del Pd, ma usarli per fare un favore a Macron, è una cosa che dovranno spiegare agli elettori». Il sottinteso dell’affermazione è facile da cogliere: la Lega ha bisogno dell’“inciucio” col Pd, quel partito al quale i Cinque Stelle hanno invece apertamente dato il benservito dopo la vicenda sugli affidi illeciti in Val d’Enza. Oltretutto, sempre secondo Di Maio, i voltagabbana sono i leghisti: «Prima erano No Tav», dice lui.

«Non sa più cosa inventarsi per sedare la rivolta del suo elettorato»: interviene caustica Mariastella Gelmini (Fi).«A sentire il sommo statista, saranno necessari i voti di Pd, FdI e di Forza Italia e di tutta la lobby dei cementificatori. Peccato che i voti, per far passare la mozione pentastellata deve trovarli lui con il suo 33 per cento di senatori. La matematica non è un’opinione. Siamo di fronte all’ennesima farsa, ma mi auguro che, questa volta, gli amici della Lega decidano che sia l’ultima». E ancora: «Di Maio non sa fare i conti. Bastano i senatori del Centrodestra a sconfiggere Cinque Stelle su una mozione in favore della Tav», commenta il senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso.

L’unico punto di (timida) convergenza tra Movimento e Lega arriva sul finanziamento ai partiti. Da una parte i grillini, al grido di «onestà, onestà», hanno sempre abiurato i finanziamenti pubblici, dall’altra il Carroccio, che ancora porta con sé gli strascichi del ‘Russiagate’- La chiarezza sulla questione con una apposita Commissione d’inchiesta conviene ad entrambi. Ma l’intesa è tutt’altro che semplice: «Abbiamo chiesto che si faccia luce sugli ultimi vent’anni – chiosa Di Mio – Se la Lega dice che la vuole sugli ultimi due anni, non va bene». E l’accordo è bello che andato.

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lunedì, 29 Luglio 2019 - 21:17
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