Picchiava e segregava le figlie che non volevano sposare i cugini: padre padrone finisce in carcere a Pisa

Polizia

Un padre violento. Che imponeva sulle figlie la propria volontà prendendole a calci e pugni ma anche segregandole e affamandole. Un padre-padrone, che si sentiva in diritto di scegliere per le sue figlie anche i fidanzati, tanto che aveva già intavolato una trattativa con due famiglie per un matrimonio concordato, tutto in cambio di soldi.

La storia arriva da Pisa. Un uomo bosniaco di etnia rom è stato arrestato questa mattina dalla polizia di Pisa. Gli viene contestata una sfilza di reati, tra i quali spicca quello di costrizione e induzione al matrimonio, un reato (articolo 558-bis del Codice penale) introdotto dal cosiddetto ‘Codice rosso’ fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle. E’ la prima volta, dall’introduzione del ‘Codice rosso’, che viene contestata questa accusa. L’uomo dovrà fare anche i conti con le accuse di sequestro di persona, maltrattamenti e calunnia.

Dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere che è stata notificata, emerge che l’uomo – per anni – ha usato la forza e la violenza nei confronti delle figlie, una sola delle quali è da poco maggiorenne. Le violenze non si limitavano a calci, pugni e pratiche umilianti, come quella del taglio dei capelli, ma spesso consistevano in veri propri periodi di segregazione nelle roulotte, dove le ragazze venivano cibate a pane e acqua. Le punizioni inflitte dal padre erano soprattutto dirette ad impedire alle due ragazze di frequentare i loro fidanzati, diversi da quelli che il padre aveva prescelto per loro, ovvero due cugini del campo, con le cui famiglie aveva già intavolato una trattativa, chiedendo e ottenendo del denaro in cambio dell’assenso al matrimonio con le figlie.

Cosa prevede il reato sui ‘matrimoni forzati’
«Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni», prescrive il primo comma dell’articolo 558-bis del codice penale. «La stessa pena – si legge al secondo comma – si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile». La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di 18 anni ed e’ da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di 14 anni. Le nuove disposizioni si applicano «anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia».

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lunedì, 23 Settembre 2019 - 12:17
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