Non è contro le ‘correnti’ della magistratura, che preferisce chiamare «aree culturali», e si dice convinta che «le derive cui abbiamo assistito devono essere ricondotte alla responsabilità personale di chi le ha commesse». Tuttavia riconosce che lo scandalo che ha travolto il Csm ha provocato nei magistrati «un periodo di profonda amarezza, un senso di frustrazione diffusa» rispetto al quale non è più possibile restare a guardare. Grazia Errede si è chiesta così «Cosa posso fare questa volta?». E questa volta, spiega, «mi sono detta che non voglio stare a guardare. Non voglio stare a guardare quello che gli altri decidono per l’ordine della magistratura, per l’ordine giudiziario». Pubblico ministero a Bari dal 2014 ma con un passato da giudice anche nel settore civile, Grazia Errede è uno dei 16 candidati ai due posti di consigliere del Csm in rappresentanza dei pm. Corre da indipendente anche se ha «una vicinanza culturale ad Area».
Il suo discorso di presentazione ruota attorno a due punti: l’importanza che i magistrati, soprattutto quelli non legati alle correnti, tornino ad esercitare il diritto di voto, e un nuovo sistema di valutazione per l’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi. «Aleggia sempre quella convinzione ‘tanto ormai non cambia niente, tanto va come deve andare’. Ebbene, io vorrei che tutti si sentissero stimolati al voto. Non possiamo delegare ad altri. dobbiamo tutti quanti partecipare e assumerci la responsabilità delle scelte», dice. A chi verrà eletto si sente di rivolgere un appello: «Chi sarà eletto al Csm ha il dovere di impegnarsi nell’interessa la magistratura tutta e non interpretando la partecipazione al Csm come momento di coronamento di un proprio percorso professionale, ma nell’interesse degli utenti della giustizia».
Anche lei, ovviamente, spera di essere della ‘partita’, per potere dare il suo contribuito affinché il Csm abbia un volto nuovo e valorizzi in maniera diversa le esperienze e le capacità di chi punta a incarichi direttivi e semidirettivi. «Bisogna ripensare le valutazioni di professionalità – dice – Ritengo che non basti inserire solo i dati statistici, ma i risultati concreti e verificabili che sono la valutazione del peso dei procedimenti che hai trattato e l’esito di questi procedimenti dinanzi al giudice». Da scartare, invece, il ‘metodo’ suggerito dalla riforma Bonafede (che è in fase di riscrittura dopo la caduta del governo gialloverde e la formazione dell’esecutivo giallorosso): «Ci sono aberrazioni previste dal disegno di legge Bonafede relative alla possibilità dei capi degli uffici di nominare i propri collaboratori – spiega – Ritengo che ciò vada osteggiato, perché fuori gli uffici dei procuratori avremmo la fila per incrementare rapporti personali e conseguire il titolo da spendere per la professione in carriera. Si corre il rischio che l’ufficio giudiziario diventi autoreferenziale. Infine va rivisto anche il sistema delle deleghe organizzative che il procuratore conferisce. Oggi si basa su un rapporto personale e questo può andare a discapito dell’ufficio tutto. Il sistema delle deleghe deve essere disciplinato e l’assegnazione deve essere motivata».
______
sabato, 5 Ottobre 2019 - 00:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA