Effetto Rousseau, legnata per il Pd e regalo a Salvini: il voto in Emilia rischia di far saltare l’alleanza di Governo

elezioni regionali

Il voto su Rousseau, che impone al Movimento Cinque Stelle di presentarsi con un proprio candidato alle elezioni regionali di Emilia Romagna e Calabria dalle quali Luigi Di Maio avrebbe volentieri voluto tenersi lontano, preoccupa non solo il leader del Movimento (di fatto sconfessato) ma agita soprattutto i sonni del Partito democratico. In Emilia Romagna più che in Calabria.

Il vento leghista soffia forte anche in questa terra che è la cassaforte del centrosinistra. Tutti i sondaggi danno la senatrice Lucia Borgonzoni, candidata leghista ed espressione del centrodestra unito, a pari punti col candidato del Pd, il governatore uscente Stefano Bonaccini che in Emilia ha fatto bene e ha un seguito personale di assoluto rilievo. E se i sondaggi raccontano in maniera fedele gli umori dell’elettorato, ecco che il Pd non può non preoccuparsi del voto su Rousseau. I grillini, che in base ai sondaggi hanno poco meno del 10% di gradimento, rappresenterebbe una sorta di ago della bilancia: quella percentuale di consensi, benché risicata, potrebbe costituire un valore aggiunto per Bonaccini, potrebbe consentire al candidato del Pd di ottenere, seppur di un soffio, il sorpasso sulla candidata della Lega.

Ecco perché il Pd sperava che il Movimento non candidasse un proprio esponente ma appoggiasse, in maniera più o meno esplicita, Bonaccini. Invece adesso la corsa in solitaria decisa dagli iscritti alla piattaforma rende il Pd orfano di un appoggio che avrebbe potuto fare la differenza e che regala a Matteo Salvini, e al centrodestra, l’occasione d’oro per un’altra vittoria storica. Che, a differenza del voto in Umbria, peserebbe davvero sull’alleanza di governo ma soprattutto sul Pd. Perdere l’Emilia Romagna, dove il centrosinistra governa da 70 anni, per i dem sarebbe uno schianto psicologico senza precedenti. Ecco, dunque, che gli appelli del Pd al Movimento Cinque Selle si sprecano. Il più accorato arriva da Stefano Bonaccini attraverso le colonne del Corriere della Sera: «Non rincorro nessuno perché le alleanze si fanno su programmi chiari. Ma ribadisco che commettono un errore a non confrontarsi sul merito dei problemi che abbiamo davanti e sulle questioni che ho proposto in modo aperto per i prossimi 5 anni (…) Le forze che vincono insieme governano insieme e questa sarebbe la prima volta per il Movimento. Rinunciare ad assumersi responsabilità significa precludersi la possibilità di contare e lavorare per i propri obiettivi. Oltre che regalare un vantaggio a una destra che non sta mostrando particolare interesse per questa regione, ma solo l’intenzione di mandare a casa il governo Conte».

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Ma i giochi sembrano fatti. La base grillina ha indicato la rotta e ora il Movimento dovrà recuperare il tempo perduto, indicare un candidato e lanciarsi in una campagna elettorale ormai in stato avanzato. Con la consapevolezza, per giunta, che dalle urne arriverà un’amara conferma del calo di consensi già testato in Umbria. E che, in caso di sconfitta pure di Bonaccini, il Pd userà la legnata di Rousseau per scaricare sui grillini la debacle, finendo con l’esasperare i già difficilissimi rapporti di intesa sul piano nazionale.

Chi gongola è solo Matteo Salvini, che subito dopo il voto di Rousseau, apre le porte della Lega a quell’ala del Movimento da sempre più a destra e ancora nostalgica del divorzio dal Carroccio: «I militanti 5Stelle hanno sfiduciato Di Maio e Grillo, e con loro il governo contro natura con il Pd. Le porte della Lega sono aperte a chi vuole davvero il cambiamento».

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venerdì, 22 Novembre 2019 - 17:00
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