Cimminiello, vittima innocente del clan: una scultura e un incontro con gli studenti a dieci anni dall’assurda morte del 31enne

Gianluca Cimminiello, il tatuatore vittima innocente della camorra

La camorra gli ha tolto la vita dieci anni fa. Perché lui, Gianluca Cimminiello, aveva reagito a un sopruso. Vincenzo Russo, uomo del clan Abete, lo strappò all’effetto dei suoi familiari e alle sue passioni sparandogli a bruciapelo, e da distanza ravvicinatissima, all’esterno del negozio di tatuaggi che Gianluca portava avanti con orgoglio. Era il 2 febbraio del 2010 quando il nome di Gianluca allungò il triste elenco delle vittime innocenti della criminalità organizzata.

Da allora la sorella Susy ne ha tenuto vivo il ricordo, anche grazie all’appoggio dell’associazione Libera. E il 3 febbraio, in occasione del decimo anniversario dalla morte di Gianluca, la memoria di questo ragazzo onesto che amava l’arte e la boxe sarà omaggiata con un’iniziativa che si terrà nel plesso Piantedosi dell’istituto comprensivo ‘Sauro Errico Pascoli” in via Fratelli Rosselli a Napoli. Alle 15.30 vi sarà la presentazione della scultura dedicata alla memoria di Gianluca, dal titolo ‘Il sogno nel cassetto di Gianluca’, realizzata da Maria Cammarota. Seguiranno gli interventi del dirigente scolastico del ‘Sauro Pascoli’ Piero De Luca; dei maestri di kickboxing Pasquale Cagliozzi, Genny Vecchione, Salvatore Izzi; Maria Cammarota, Susy Cimminiello (la sorella di Gianluca) e don Luigi Ciotti. Alle 17.30 vi sarà la messa presso la Parrocchia del Cristo Re, in via delle Dolomiti a Napoli, che sarà celebrata da Don Francesco Minnelli e Don Luigi Ciotti. Lo scorso anno, per ricordare Gianluca, il presidio Libera realizzò un video per ricordare la sua storia.

Gianluca aveva 31 anni quando la camorra gli tolse la vita. Aveva pubblicato sul suo profilo Facebook un fotomontaggio che lo ritraeva insieme al Pocho Lavezzi (che all’epoca giocava nel Napoli) mentre il calciatore mostrava i suoi tatuaggi. Un tatuatore concorrente di Gianluca non gradì quello scatto: temeva che questo avrebbe portato più clienti a Cimminiello, danneggiandolo. Così dapprima esortò Cimminiello a rimuovere la foto ma, dopo avere ottenuto risposta negativa, si rivolse a personaggi del clan Amato-Pagano ritenendo che i modi spicci della camorra potessero essere più convincenti. Pochi giorni prima dell’omicidio una ‘squadretta’ di camorristi si recò nel negozio di Cimminiello, a Casavatore (in provincia di Napoli). Volevano picchiarlo, ma Gianluca che praticava kickboxing reagì al sopruso e picchiò uno del ‘branco’. Non sapeva che il picchiato fosse un parente stretto del boss Cesare Pagano. Non poteva immaginare che nel mondo di disvalori della camorra, la sua legittima reazione sarebbe stata vissuta come un’onta che andava vendicata.

Della punizione – racconta un’inchiesta della procura che ha già superato il vaglio dibattimentale – si fece carico il boss Arcangelo Abete, che in quel periodo era detenuto ai domiciliari e che faceva parte del clan Amato-Pagano. Abete, hanno raccontato i pentiti, aveva un debito di riconoscenza nei confronti di Cesare Pagano e così decise di riparare il boss occupandosi di Cimminiello. Diede incarico al suo braccio destro Raffaele Aprea di occuparsi della vicenda. Il 2 febbraio 2010 Vincenzo Russo uccise Cimminiello a sangue freddo. Vincenzo Russo è stato condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo. Abete e Aprea sono ancora sotto processo: in primo grado è arrivata una sentenza di condanna al carcere a vita e adesso è in corso il processo in Appello. Il sostituto procuratore generale ha già rassegnato le sue conclusioni, chiedendo la conferma della condanna. A metà febbraio, salvo rinvii, sarà emessa la sentenza dei giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli.

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martedì, 28 Gennaio 2020 - 14:18
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