Coronavirus, a Milano albergatori alla canna del gas: «Si perdono 3 milioni di euro al giorno, è la tempesta perfetta»

duomo milano
Il Duomo di Milano (foto d'archivio)
di Bianca Bianco

Una «tragedia», una «guerra», un «terremoto», «la tempesta perfetta». Usano queste parole, gli albergatori di Milano e provincia quando commentano gli effetti dell’emergenza coronavirus sul comparto delle strutture ricettive (anche) nella loro zona. E danno numeri, gli imprenditori del settore, che lasciano prefigurare un dramma che non è solo quello che vivono adesso, nei giorni dell’epidemia e della psicosi, ma anche quello che vivranno domani, quando dovranno fare i conti con le conseguenze delle prenotazioni disdette, del danno d’immagine e delle sofferenze di chi orbita nel grande indotto della ricettività, come i fornitori.

Diamoli questi numeri: dal 10 al 5% di ‘occupazioni’ (ovvero di stanze di alberghi, bed and breakfast, pensioni occupate) solo questa settimana, che vuol dire circa 25mila camere al giorno di differenza rispetto ad una settimana normale, con una perdita giornaliera di oltre 3 milioni di euro per il solo ‘ricavo camere’. Ci sono alberghi di 200 stanze in cui ci sono solo 20 clienti, pensioni familiari con 10 camere in cui il registro delle presenze in questi giorni è stato firmato solo da due persone, e tante strutture vuote. Così vuote che il personale supera il numero di ospiti. Le poche prenotazioni che arrivano sono per settembre ed ottobre, ma chissà quante imprese saranno ancora aperte l’autunno prossimo.

Salta il turismo e saltano anche i grandi eventi, le convention aziendali e persino le manifestazioni private come i matrimoni. Ogni giorno Federalberghi riceve decine di chiamate di gestori e proprietari confusi, arrabbiati e scoraggiati costretti anche a fare i conti con una normativa di emergenza per loro fumosa. Con delle situazioni persino paradossali: se si vuole prenotare, per esempio, una cena aziendale con 10 commensali si può fare ma evitando contatti troppo ‘stretti’ per ottemperare alle disposizioni ministeriali. Con queste premesse, è chiaro che si preferisce non organizzare, non investire in pubbliche relazioni, lasciare vuote le strutture che invece solitamente, nella operosa e bella Milano, di questi tempi sono all’80% se non al 90% di occupazioni.

A fornire queste cifre e consentire di tastare il polso della situazione è Maurizio Naro, albergatore e presidente di Federalberghi, la federazione appartenente a Confcommercio che riunisce imprenditori attivi nel settore dell’ospitalità nelle province di Milano, Lodi e Monza- Brianza, quelle che più di tutte stanno subendo le ripercussioni dell’epidemia di Covid-19 che, bene sempre precisarlo, è presente come focolaio solo in 10 comuni lombardi ed uno veneto. Nel resto della Lombardia e nel resto d’Italia si cerca di contenere il contagio ma non ci sono focolai autonomi.

Presidente Naro, che situazione state vivendo?
«Proprio oggi abbiamo avuto un consiglio direttivo e la parola che abbiamo usato più spesso è cambiata: non parliamo più di emergenza, noi albergatori, ma di sopravvivenza. Ormai si parla di sopravvivenza delle aziende del settore perché non ci sono nuove prenotazioni ma solo cancellazioni, arrivate quasi al 90%. Le occupazioni degli alberghi vanno dal 10 al 5% e qualcuno dei nostri associati ha preso la drastica decisione di chiudere la struttura. Credo che con questo andamento resisteremo ancora per qualche giorno, poi non so. Fino a quando non è scoppiato il caso, febbraio a Milano era quello di sempre, con turisti e prenotazioni. Ora il deserto. Questo significa che riusciremo a pagare gli stipendi di febbraio ma già marzo è un punto interrogativo».

Questo coronavirus ha avuto l’effetto di una catastrofe, di un terremoto. Tra voi c’è persino chi parla degli effetti di una guerra.
«Io la definisco una tempesta perfetta. Questo perché non rischiano solo quanti gestiscono una struttura ricettiva ma anche i fornitori. Siamo tutti in grossa crisi. Per spiegarlo basta un esempio semplice: i costi fissi di un albergo sono alti, il 40/50% del fatturato va per gli stipendi, ora che il fatturato è crollato e che siamo costretti a restituire i soldi delle prenotazioni senza al contempo incassare, ecco che si verifica la tempesta perfetta».

Peraltro non parliamo solo di turismo…
«No, qui si concentrano anche le maggiori convention aziendali e le trasferte. Ma ormai non si fanno più e il Nord finisce in ginocchio».

Cosa chiedete al Governo?
«Il problema è la liquidità, chiediamo quello per poter pagare stipendi e fornitori. Senza liquidità, mi chiedo quanti di noi saranno qui a giugno. La benzina sta finendo, siamo in riserva, ci restano pochi chilometri di sopravvivenza. Non parliamo di grandi catene, di multinazionali, ma di imprese medie e piccole a gestione familiare che costituiscono l’ossatura del settore alberghiero italiano».

Critiche alle misure di contenimento del contagio ci sono?
«Ci atteniamo alle indicazioni del ministero per la Salute, sappiamo che il fenomeno va contenuto ed arginato sperando venga superato presto. Siamo ligi».

Una tragedia che colpisce tutti, dal piccolo al grande albergatore. Anche lei lo è…
«Sì, io sono in trincea in tutti i sensi: non solo perché presidente di Federalberghi ma anche come albergatore. Questa crisi la vivo nella mia struttura al centro di Milano che ha 240 camere e dove venerdì ne erano occupate solo cinque.   Ad oggi ho più dipendenti che ospiti».

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martedì, 3 Marzo 2020 - 07:40
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