Coronavirus, Fca prolunga lo stop. Le paure degli operai di Pomigliano: «Ammassati in reparto e sui mezzi»

gerardo giannone
Gerardo Giannone (Fca Pomigliano)
di Bianca Bianco

C’è una parte d’Italia che non può restare a casa in quarantena. E’ quella che tiene vivo il cuore industriale del Paese, che non può fermarsi per non far mancare l’ossigeno necessario a evitare il default.

Sono migliaia gli operai che stamattina, giorno 7 dal decreto ‘Io sto a casa’ che ha ‘chiuso’ l’Italia, la loro casa l’hanno invece dovuta lasciare all’alba per raggiungere il loro posto di lavoro. Fino a qualche giorno fa, anche i lavoratori della Fca di Pomigliano, una delle più grandi fabbriche del Sud, circa 5mila addetti che lavorano per la produzione della Panda, popolavano i reparti dell’azienda. Poi è arrivato un primo stop, che è stato confermato e prolungato questa notte dai vertici della Casa automobilistica italiana.

Con una nota la Fca ha comunicato la sospensione temporanea fino al 27 marzo per gli stabilimenti di Pomigliano, Melfi, Cassino, Carrozzerie Mirafiori, Grugliasco e Modena. Stop anche in quelli in Serbia e Croazia. Nella stessa nota, la società ha ribadito la volontà di assicurare, attraverso appositi protocolli, la sicurezza dei suoi dipendenti, avviando anche il lavoro da remoto. Una sospensione che dà sollievo a chi da giorni lamentava di dover lavorare senza poter rispettare le misure di contenimento del contagio, ma che non placa le paure dei lavoratori che non riguardano soltanto l’epidemia sanitaria ma anche le conseguenze economiche per una categoria che, tra cassa integrazione e stop produttivi, da tempo boccheggia. Ad esprimere le proprie preoccupazioni è proprio uno di quegli operai, Gerardo Giannone di Casalnuovo, addetto alla Logistica del Gian Battista Vico di Pomigliano: «Per noi – spiega – non esiste solo il rischio sanitario ma anche quello economico: con queste condizioni, chi pagherà le nostre bollette, i mutui, la spesa?».

Giannone, come era la situazione a Pomigliano prima dello stop?
«Era davvero complicata. In fabbrica era presente il 60% della forza lavoro, circa 3mila operai al giorno. Si lavorava a 460 auto a turno, 920 totali. Era pienissima».

In che condizioni lavoravate?
«Nel reparto montaggio le condizioni erano poco sicure: la Panda è piccola, poco più di 2,20 metri di lunghezza, c’erano troppi addetti uno sull’altro. Di certo non si rispettavano le misure anti contagio. Negli altri reparti le distanze di sicurezza erano rispettate, lì lo spazio c’è».

Ora c’è stata la sospensione della produzione, ma i problemi, una volta rientrati, si potrebbero ripresentare?
«Sì, e per questo devono intervenire i sindacati soprattutto per tutelare chi è addetto al montaggio. Deve esse dimezzata la produzione, deve essere abbassata a 260 auto al giorno, anche perché non ci sono né guanti né mascherine a disposizione dei lavoratori».

Una fabbrica come quella di Pomigliano non ha guanti e mascherine?
«Non li aveva prima e non li avrà domani perché le aziende fornitrici danno giustamente precedenza ad Asl, ospedali, Comuni, protezione civile che ne hanno estremo bisogno. Abbiamo lavorato così fino a martedì scorso, inutile tornare al lavoro alle stesse condizioni: uno sull’altro e senza presidi di sicurezza».

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Tra l’altro il problema non è soltanto all’interno dello stabilimento ma anche fuori, sui mezzi che portano i lavoratori in fabbrica.
«Esatto. I colleghi di Castellammare, Portici, Torre del Greco che fino all’altro giorno venivano a Pomigliano, prendevano pullman strapieni. Che senso ha salvaguardare i lavoratori dentro se poi si viaggia stipati sui mezzi? Per questo motivo l’unica cosa che possiamo chiedere alla nostra azienda è il dimezzamento della produzione»

Che cosa intende?
«Invece di 460 auto a turno, se ne facciano produrre 260. Così ci saranno meno addetti in reparto e sui mezzi e nel contempo si lavorerà un giorno in più e si potrà far maturare il rateo a tutti, con la possibilità di non perdere i diritti maturati e avere un paracadute anche economico. Perché anche a questo si deve pensare, alle tasche degli operai. Trovare una soluzione per impedire che a fine mese, come per esempio sta accadendo a me che ho lavorato solo 4 giorni a marzo, entrino in tasca solo 800 euro. E con questi soldi come faccio a pagare affitto, bollette, mutuo? Perché al momento, nonostante gli annunci del Governo, nulla è sospeso. Le scadenze dei pagamenti arrivano comunque».

Una situazione esplosiva
«Certo, perché l’operaio che si vede in tasca poche centinaia di euro ci pensa due volte prima di tornare in una fabbrica in cui ha paura di stare per via del contagio. E allora si mette in malattia, perché il gioco non vale la candela».

Ma esistono i protocolli di sicurezza appena varati dal Governo. Non vi sentite rassicurati?
«I protocolli? Belli, bellissimi, ma sulla carta. Poi nella pratica chi avrà la voglia, la competenza ed il coraggio di farli applicare?»

 

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lunedì, 16 Marzo 2020 - 14:50
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