Il prof Castagna promuove il ‘Cura Italia’ ma con la sufficienza: «Meglio una sorta di credito di imposta per le Pmi»

Francesco Castagna, professore universitario e imprenditore nel campo dell’innovazione e dell’ICT.
di Roberta Miele

Il decreto ‘Cura Italia’ «sicuramente va nella direzione positiva» ma «deve essere rafforzato» perché le misure «non sono adeguate». E, soprattutto, non deve scontare i soliti ritardi provocati dalla burocratizzazione di cui soffre l’Italia. Perché, altrimenti, qualunque aiuto pensato e stabilito per andare incontro alle aziende flagellate dal lockdown rischia di diventare inutile. Parola di Francesco Castagna, professore universitario e imprenditore nel campo dell’innovazione e dell’ICT.

Domanda a bruciapelo: che voto dà al ‘Cura Italia’?
«Beh, 6+. Va nella giusta direzione, però vedo due grosse criticità. Innanzitutto, le stime fatte sono abbastanza ottimistiche rispetto all’impatto che avrà la crisi sulle imprese nel lungo periodo. Di certo non basterà premere sull’interruttore per tornare come prima. Mi aspetto che l’assegnazione delle risorse verrà rafforzata. Penso anche ai professionisti e a tutte le partite Iva. Non è immaginabile che un professionista che fino ad un mese fa aveva un proprio reddito adesso dovrà ricevere un bonus da 600 euro, addirittura la metà del dipendente in cassa integrazione. Ma il punto più critico è un altro».

Quale?
«La trasformazione del credito in liquidità reale. Secondo me, bisognava prima pensare come permettere alle aziende di spendere immediatamente i soldi da liquidare per affrontare questa crisi epocale paragonabile ad una crisi da guerra mondiale. Il punto non è solo dare i soldi alle banche ma fare anche in modo che queste possano conferirle velocemente alle imprese e non credo che nel dl ci siano dettagli che consentano di garantire risorse alle imprese che ne hanno bisogno da ieri».

Si riferisce ai tempi della burocrazia di permettere alle banche di potere liquidare il denaro o alla lentezza degli istituti di credito?
«Ad entrambi. Il Governo dice: ‘chiedi alla banca, noi garantiamo il 100%’. La banca però è costretta a fare una sorta di rating delle aziende prima di concedere i soldi, non li concede senza valutazioni solo perché lo Stato garantisce. Questo però non lo dice nessuno. L’istituto di credito dovrà fare valutazioni che si basano sui bilanci passati e che non avranno senso perché questa situazione sta riazzerando le serie storiche, così come è successo per le crisi dei derivati subprime nel 2008 e dei debiti sovrani nel 2010. Dunque la banca farà il rating di società che non sa se sopravviveranno e come evolveranno per la fortissima discontinuità col passato».

L’accesso al credito per le imprese significa indebitarsi nel bel mezzo di una crisi molto grave. Non è un’arma a doppio taglio?
«Sicuramente è un prestito che, anche se spalmato in vent’anni e a interessi zero, va a gravare su aziende le quali magari già stanno utilizzando affidamenti o hanno impegni con le banche. È chiaro che sarebbero meglio gli aiuti a fondo perduto, addirittura al cento per cento, ma tutto dipende dalle logiche globali: dai fondi, da dove li prendono, da come gestiscono il debito e da quanti soldi l’Europa darà all’Italia».

Pochi giorni fa la titolare di una pizzeria, in un’intervista, ha detto che a queste condizioni le conviene chiudere e prendere il reddito. Per le piccole aziende servivano altre misure?
«Ripeto: le risorse non sono adeguate. Ma anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che siamo solo all’inizio. In questo momento stanno assegnando i primi timidi aiuti. Se l’obiettivo è cominciare a tamponare – e non a risolvere – le risorse devono arrivare velocemente, altrimenti non raggiungeremo nemmeno questo obiettivo di primo livello.
Ma siccome il gettito che creano le aziende ritorna allo Stato sotto forma di contributi e di tasse, più che fondo perduto si potrebbe fare una sorta di credito d’imposta da girare alle pmi in modo tale che una parte di questo prestito venga restituito a tasso zero mentre un’altra viene trasformata in credito d’imposta. Diciamo una compensazione per avere fatto partire una macchina in una condizione impossibile».

Ha detto che le risorse sono esigue. Quanto servirebbe, secondo lei?
«Non posso darle numeri con certezza. In base ad alcune stime la somma del fatturato di tutte le aziende italiane previsto per il 2020 è di 2.500 miliardi. La perdita forse sarà tra il 10 e il 20%, quindi il calo è tra i 250 e i 500 miliardi a livello nazionale. Sempre se le perdite si limitano al 20%. Poi bisogna considerare che l’impatto della crisi si trascinerà anche negli anni a venire. Dunque, queste prime risorse sono positive, ma non sufficienti a coprire i danni del sistema economico».

Oltre che di golden power si è parlato di nazionalizzazione temporanea di alcune imprese. Ritiene che siano strade percorribili?
«È importante che lo Stato abbia un certo tipo di supervisione su alcuni asset strategici. Una formula legata ad una logica di golden share, quindi alla logica di una minoranza che può avere la voce di azionista di maggioranza in casi particolari va sicuramente inserita per evitare sciacallaggi di gruppi stranieri. Poi però l’azienda deve poter fare il suo corso nel libero mercato».

Quanto è importante la partita che si sta giocando in Europa su Mes ed eurobond?
«È fondamentale. L’Europa per la prima volta ha la possibilità di dare un senso alla sua esistenza che vada nella logica della solidarietà e della comunità. Se non ci sarà un aiuto forte e consistente dall’Ue, il fondamento dell’Unione stessa verrebbe completamente scalfito e la fiducia nelle istituzioni europee cadrà tantissimo, e lo dico da europeista convinto. L’Italia, nonostante sia un grande paese, non può reggere il confronto con i grandi blocchi quali sono Russia, Cina e Stati Uniti. Se non c’è unità economica, politica e militare, non possiamo farcela».

È favorevole al Mes o agli eurobond?
«Sono convinto che al momento non possono esserci condizioni. Il problema vero è che in questa situazione bisogna concedere elasticità che non si erano mai immaginate in passato perché nessuno può prevedere l’impatto della crisi. Come puoi mettere dei vincoli se non ti è chiaro il dominio in cui vai ad operare qual è. Io sono ingegnere, una delle prime cose che mi hanno insegnato è che tu puoi mettere vincoli se ti è chiaro il dominio, ma se il dominio non è definito che vincoli metti? Si possono immaginare più trance successive che potrebbero essere soggette a condizioni. Adesso no».

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venerdì, 10 Aprile 2020 - 19:36
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