Si aprirà domani a Sassari il processo d’appello a Marcello Tilloca, reo confesso dell’omicidio della moglie, Michela Fiori, 40 anni, strangolata il 23 dicembre 2018 nel suo appartamento ad Alghero, dove sino a qualche mese prima la coppia, in procinto di separarsi, viveva insieme ai due figli. In primo grado Tilloca, che ha ammesso il delitto ma non si è mai pentito, era stato condannato con rito abbreviato a trent’anni di carcere dal gip del tribunale di Sassari, Michele Contini, nell’ottobre 2019.
Era stata inoltre riconosciuta una provvisionale di 100mila euro ciascuno per le parti civili: la madre, il fratello e la nonna della vittima. Con la condanna l’imputato aveva perso la potestà genitoriale. Al processo di primo grado era stata ammessa come parte civile anche la Rete della Donne di Alghero. Domani, sulla scia di quanto accaduto in occasione delle udienze in Tribunale, la Rete insieme al Coordinamento 3 Donne di Sardegna, Prospettiva Donna, Noi donne 2005 e Donne in Carrelas manifesteranno con un sit in silenzioso davanti all’ingresso della Corte d’appello.
Durante il processo, Tilloca aveva provato a spiegare le ragioni di un gesto barbaro che non ha spiegazioni: «Michela mi tradiva, aveva un compagno». E ancora: «Michela spacciava droga». «Quel giorno ero andato lì per un chiarimento e Michela mi ha aggredito». Il giudice archiviò quelle parole, che nell’immaginario dell’omicida reo confesso avrebbero dovuto dare una giustificazione al crimine efferato di cui si è reso protagonista, come cattiverie gratuite e accuse infamanti nei confronti di Michela e della sua famiglia. Un monologo recitato nell’incredulità di tutti gli avvocati di parte civile per ribadire una ricostruzione già affidata a tre lettere che l’assassino aveva consegnato al giudice il giorno prima dell’apertura del processo affinché fossero messe agli atti.
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giovedì, 9 Luglio 2020 - 20:02
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