Depurare il linguaggio da parole ‘scorrette’, che feriscono la storia di minoranze, razze, civiltà. Il politicamente corretto si fa strada in diversi settori lavorativi e culturali, ora persino in quello degli informatici. Apripista è Linux, il cui ideatore Linus Torvalds, ha approvato le nuove linee guida che aboliscono parole utilizzate dai programmatori adeguandosi così alla ‘spinta’ di cambiamento partita dalle proteste in atto negli Usa e nel mondo in particolare dopo la morte violenta dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis.
E così al bando finiscono termini tecnici come ‘master/slave’ o ‘blacklist/whitelist’ utilizzati nello scrivere i programmi o le relazioni. I nuovi termini, spiega il sito ZdNet, dovrebbero essere usati nei codici sorgenti. Al posto di ‘master’ e ‘slave’, letteralmente ‘padrone e schiavo’, che designa di solito un hardware principale e uno che dipende da questo, sono proposte una serie di alternative, da ‘primary/secondary’ a ‘leader/follower’. Invece di blacklist/whitelist sono proposte alternative come denylist/allowlist o blocklist/passlist. Prima di Linux molte altre aziende informatiche e progetti di programmatori hanno deciso di eliminare i riferimenti che possono far pensare al razzismo, compresi Google e Microsoft.
La spinta sempre più forte verso il ‘politically correct’ ha investito recentemente anche il Mit, che ha messo offline un grandissimo database usato per ‘addestrare’ le intelligenze artificiali proprio perché conteneva parole razziste e misogine.
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martedì, 14 Luglio 2020 - 10:39
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