Via D’Amelio, 19 luglio 1992: la mafia fermò il giudice Borsellino. Mattarella: «Uomo di coraggio e senso delllo Stato»

Il giudice Paolo Borsellino

Era domenica anche il 19 luglio del 1992. Paolo Borsellino raggiunge l’abitazione della madre in via Mariano D’Amelio al civico 21, Palermo, a bordo della macchina blindata. E’ con gli uomini della scorta. Borsellino scende dalla vettura ma un boato spezza la sua vita e quella di cinque agenti, Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è l’agente Antonino Vullo, rimasto in auto perché doveva parcheggiare la vettura. Sono le 16.58. Paolo Borsellino muore ucciso a mezzo di un’autobomba, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chili di esplosivo.

Ventotto anni dopo, il ricordo di Paolo Borsellino è ancora vivo. «A distanza di tanti anni – scrive il presidente Sergio Mattarella – non si attenuano il dolore, lo sdegno e l’angoscia per quell’efferato attentato contro un magistrato simbolo dell’impegno contro la mafia, che condivise con l’amico inseparabile Giovanni Falcone ideali, obiettivi e metodi investigativi di grande successo. Borsellino rappresentava, con la sua personalità e i suoi comportamenti, tutto ciò che la mafia e i suoi accoliti detestano e temono di più: coraggio, determinazione, incorruttibilità, senso dello Stato, conoscenza dei fenomeni criminali, competenza professionale. Accrescevano la sua fama di magistrato esemplare la semplicità e la capacità di fare squadra, lontano da personalismi e desideri di protagonismo. Vi si aggiungeva la ferma volontà di andare avanti, di non arrendersi anche di fronte a rischi, ad attacchi, a incomprensioni e ostilità. Sono particolarmente vicino – conclude il capo dello Stato – ai figli di Paolo Borsellino in questa triste ricorrenza. Come sperimentano quotidianamente, nulla può colmare una perdita così grave».

domenica, 19 Luglio 2020 - 10:32
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