Esame avvocato, l’Aipavv chiede un incontro a Bonafede: «Rivedere l’accesso alla professione in chiave europea»

Toghe

Chiedono un incontro al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede allo scopo di potere affrontare col titolare del dicastero di via Arenula il tema dei praticanti avvocati, più che mai di attualità.

L’Associazione italiana praticanti avvocati (Aipavv) fa un altro passo nella sua battaglia, quella che nei giorni scorsi si declinata in una denuncia di irregolarità e violazioni dei vincoli comunitari in tema di libero accesso al lavoro e libertà di stabilimento e concorrenza. «Si deve mettere la parola fine a un’annosa vicenda che penalizza i praticanti italiani rispetto ai colleghi europei», dicono i responsabili dell’Aipavv che hanno inviato una lettera aperta al Guardasigilli nella quale hanno individuato diversi punti di discussione. Per l’associazione bisogna azzerare, o quantomeno ridurre al minimo, le differenze dei percorsi di abilitazione alla professione che esistono in Europa.

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«Un praticante italiano diventa avvocato non prima dei 30 anni. È infatti questa l’età media nella quale ci si abilita alla professione forense in Italia. Nel resto d’Europa, invece, le cose vanno diversamente e l’età media crolla ai 25 anni d’età», osserva l’Aipavv. Questo scenario fa sì che i praticanti italiani vengano penalizzati nei contesti europei: «In base al diritto di stabilimento, infatti, qualsiasi professionista con nazionalità europea può svolgere liberamente la professione in uno dei 26 paesi UE. In altre parole, gli abilitati venticinquenni europei possono entrare nel mondo forense italiano e, legittimamente, esercitare la professione con cinque anni di vantaggio rispetto ai giovani italiani».

Altro punto che l’Aipavv vorrebbe discutere con il ministro è la tempistica per la correzione dei compiti scritti. «Negli anni precedenti – si legge nelle lettera aperta inviata al ministro – gli esiti delle prove scritte venivano comunicati già nel mese di giugno, così da consentire agli aspiranti avvocati che avessero superate le tre prove scritte di prepararsi per tempo a sostenere le prove orali (da settembre in poi) e a coloro che, invece, avessero ricevuto esito negativo (di norma il 70% dei partecipanti) di prepararsi a sostenere le prove scritte nella sessione successiva. Ma con riferimento alla sessione 2019, il D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), il sistema è saltato». Il periodo di lockdown ha inciso sulla correzioni dei testi e l’esito degli elaborati è arrivata tra fine agosto e inizi settembre. «A causa del citato periodo (durato quasi nove mesi), gran parte degli aspiranti avvocati che ha superato le prove scritte potrebbe non riuscire a sostenere la prova orale entro il mese di dicembre 2020, ritrovandosi così a dover sostenere il c.d. “scritto cautelativo”, cosa che in realtà accade da anni a Roma, Napoli, Bologna, Milano e che non è più accettabile», incalza l’Aipavv.

Un altro punto toccato nella lettera, riguarda il principio di “trasparenza” che dovrebbe caratterizzare ogni scelta adottata dalla Pubblica Amministrazione. «L’esame di abilitazione forense – si legge ancora – non rispetta affatto questa regola basilare: infatti i praticanti avvocati che non hanno superato la prova scritta non possono conoscere le ragioni poste alla base del giudizio di non ammissione alla seconda parte dell’esame di Stato». Da qui è scaturita l’iniziativa – già trattata sul nostro sito – di «un grande ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro l’attuale impianto dell’esame d’abilitazione».

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mercoledì, 9 Settembre 2020 - 11:15
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