Napoli, inchiesta sulla morte del 17enne ucciso da un agente mentre compiva una rapina: si punta su racconti e un video

Luigi Caiafa
Napoli, il luogo dove è rimasto ucciso il 17enne Luigi Caiafa (foto Kontrolab)

Riannodiamola la storia del 17enne rimasto ucciso la scorsa notte a Napoli mentre insieme ad un amico di un anno più grande era impegnato in un tentativo di rapina. Riannodiamola perché è dai pochi elementi certi emersi con fatica nella giornata di ieri che partiranno le indagini della procura della Repubblica di Napoli.

Luigi Caiafa, questo il nome del ragazzino, è stato colpito da un proiettile esploso dalla pistola di uno dei poliziotti intervenuti tempestivamente mentre in via Duomo Luigi e l’amico Ciro De Tommaso, figlio del più noto Gennaro De Tommaso alias Genny la carogna, avevano affiancato una Mercedes, con a bordo tre persone, allo scopo di commettere una rapina. In possesso della coppia di ragazzini vi era una pistola. Giocattolo. Ma questo lo si scoprirà solo dopo, ché nel cuore della notte e in un’azione di pochi secondi è impossibile anche ad un esponente delle forze dell’ordine distinguere un falso (al quale peraltro è stato tolto il tappo rosso) dall’originale. Quel che si sa è che nelle fasi concitate dell’intervento della polizia, uno dei Falchi intervenuto spara. E colpisce Luigi. Non sparano, invece, i ragazzini: questa circostanza fa cadere la primissima ricostruzione offerta dalle agenzie di stampa, e rilanciata da tutti i mezzi di informazione, su un confitto a fuoco. Ricostruzione peraltro mai smentita ufficialmente dalla Questura nelle prime ore della giornata di ieri. Il trascorrere delle ore ha però consentito di fare chiarezza su alcuni punti.

Alle 4.20 di domenica mattina, Luigi Caiafa e Ciro De Tommaso sono in sella ad un Piaggio Liberty che risulterà essere rubato: Luigi è alla guida, Ciro siede dietro. Stanno cercando, armati, di farsi consegnare soldi e cellulari da tre persone a bordo di una Mercedes. Siamo tra la fine di via Duomo e il varco Pisacane. Due Falchi passano di lì, intervengono. Intimano l’alt e, a questo punto, filtra la ricostruzione che vuole uno dei due rapinatori puntare l’arma giocattolo contro gli agenti. Di qui gli spari, quelli partiti dalla pistola di uno dei Falchi. L’agente spara tre volte. Luigi Caiafa viene colpito, Ciro De Tommaso alza subito in segno di resa e si fa arrestare. Le testimonianze di tutte i presenti saranno determinanti per cercare di disegnare il perimetro di questa storia, che richiama quanto accaduto appena lo scorso fine febbraio al 15enne Ugo Russo, rimasto ucciso da un carabiniere libero dal servizio mentre con una pistola (finta) stava cercando di rapinare proprio il giovane militare dell’Arma.

Nelle prossime ore sarà anche disposta l’autopsia sul corpo di Luigi Caiafa, un procedimento che potrebbe portare – come atto dovuto – anche all’iscrizione del poliziotto che ha sparato nel registro degli indagati, questo allo scopo di nominare un proprio perito che valuti le cause del decesso. Fondamentale saranno anche l’esame della balistica per ricostruire la traiettoria dei colpi e probabilmente le immagini della telecamera di un centro di revisioni auto che è stato immediatamente acquisito.

I genitori di Luigi, dal loro basso in vico Sedil Capuano a Forcella, chiedono giustizia. Tramite il penalista Giuseppe De Gregorio, la mamma del ragazzino si rivolge a magistratura e istituzioni: «Chiedo verità e giustizia sulla morte di mio figlio, voglio sapere come e perché è stato ammazzato». Pieni di rabbia sono invece i toni di alcuni parenti, i quali – attraverso i microfoni di Fanpage – scaricano la colpa addosso ai poliziotti, accusandoli di avere «il vizio» di uccidere i ragazzini e arrivando persino a sostenere che Luigi e Ciro non stavano compiendo alcuna rapina, bensì era uno «scherzo». Uno ‘scherzo’ con una pistola che di notte, a occhio nudo e dalla distanza, non è possibile capire essere falsa. Uno ‘scherzo’, in sella ad uno scooter rubato, compiuto da due ragazzi con una storia difficile.

Luigi aveva ottenuto la ‘messa alla prova’ dopo essere stato arrestato in un’operazione antidroga ad ottobre dello scorso anno. Aveva ottenuto cioè la possibilità di seguire un percorso di recupero ed evitare così di scontare la condanna (se avesse rigato dritto). Fino a luglio scorso era stato in una comunità a Torre Annunziata e qui coltivava il sogno di diventare pizzaiolo: « «Lo ricordo quando con tanto sacrificio volle imparare il mestiere del pizzaiolo, lo ricordo quando durante i mesi di lockdown tre giorni a settimana, insieme ad altri ragazzi, preparava le pizze da portare alle famiglie disagiate. L’ultimo incontro con il ragazzo 10 giorni fa, dove mi diceva con sguardo poco convinto: ‘don Anto’, tutto bene’», ha raccontato Don Antonio Carbone.

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lunedì, 5 Ottobre 2020 - 12:14
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