Davigo fuori dal plenum del Csm, in 13 votano per il suo addio. Di Matteo: «Farlo restare viola la ratio della Costituzione»

piercamillo davigo
Piercamillo Davigo

Con il raggiungimento dell’età pensionabile che lo obbliga a lasciare la magistratura, Piercamillo Davigo deve lasciare anche la carica di consigliere togato del Consiglio superiore della magistratura. Ieri pomeriggio il plenum del Csm ha chiuso il caso paradossale che si era aperto sulla permanenza di Davigo sia in magistratura sia nell’organismo di autogoverno della magistratura. Paradossale perché a fronte di un’evidenza – il compimento di 70 anni, festeggiati oggi – e di una normativa – il pensionamento per i magistrati che hanno raggiunto i 70 anni – per settimane si è discusso sulla possibilità di consentire a Davigo di restare al suo posto. Il che sarebbe stata davvero un’eccezione considerato che tanti illustri magistrati hanno lasciato i propri incarichi quando è arrivato il momento.

Tant’è, ciò che sarebbe dovuto essere ovvio e palese ha finito pure con lo spaccare il Csm. Se in mattinata il plenum si era pronunciato all’unanimità sul pensionamento di Davigo, nel pomeriggio non vi è stata univocità di pensiero sulla permanenza di Davigo all’interno del Csm. Al momento del voto, infatti, il plenum si è spaccato: sei consiglieri hanno votato per ‘salvare’ Davigo. Per la permanenza di Davigo in carico si sono espressi i tre togati di Autonomia & Indipendenza (e qui il voto era scontato considerato che il fondato e leader della corrente è proprio Davigo), le togate di Area Alessandra Dal Moro e Elisabetta Chinaglia (e ciò dimostra come lo scandalo Palamara abbia unito le due correnti) e il laico Fulvio Gigliotti (espressione del Movimento Cinque Stelle). I sei voti, tuttavia, non sono stati sufficienti a salvare Davigo.

Tredici togati hanno votato per mettere a riposo l’ex pm di Mani Pulite: ai sì iniziali dei togati di Unicost e Magistratura Indipendente, si sono uniti quelli dei laici Filippo Donati (M5S), Emanuele Basile (Lega), Alessio Lanzi e Michele Cerabona (Forza Italia) e dell’indipendente Nino Di Matteo (che è molto vicino alle posizioni di ‘Autonomia & Indipendenza’). Durante l’intervento che ha preceduto il voto, Di Matteo ha spiegato che il voto contro la permanenza di Davigo al Csm, benché sia una decisione «presa con grande dolore» per la stima nei confronti del collega che «lascerà un segno nella storia recente della magistratura italiana», è una logica conseguenza del pensionamento del magistrato: «L’appartenenza all’ordine giudiziario è condizione imprescindibile per l’organo di autogoverno della magistratura che è per 2/3 composto da magistrati. Il rapporto predeterminato tra laici e togati è una regola sancita dalla Costituzione», ha spiegato Di Matteo. Che ha meglio specificato: la permanenza di Davigo al Csm dopo il suo collocamento in pensione «violerebbe la ratio e lo spirito delle norme costituzionali» e «introdurrebbe un tertium genus di consigliere né togato né laico che altererebbe il rapporto tra i componenti».

Nutrita anche la pattuglia degli astenuti: Alberto Bendetti (M5s), Stefano Cavanna (Lega), tre consiglieri di Area ( Giuseppe Cascini, Giovanni Zaccaro e Mario Suriano) hanno deciso di non decidere per evitare «una palese spaccatura del plenum».

Il posto di Davigo sarà preso dal giudice di Cassazione Carmelo Celentano, esponente del gruppo di Unicost e primo dei non eletti alle elezioni del luglio 2018 per il collegio di legittimità.

martedì, 20 Ottobre 2020 - 13:03
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