Ultrà investito e ucciso negli scontri prima di Inter-Napoli, i pm insistono sull’omicidio volontario: 16 anni per il napoletano

Fabio Manduca
Fabio Manduca, l'ultrà napoletano arrestato per l'omicidio di Daniele Belardinelli

Non hanno dubbi i pubblici ministeri Rosaria Stagnaro e Michele Bordieri: Fabio Manduca, l’ultrà del Napoli che investì e uccise Daniele Belardinelli, va condannato per omicidio volontario con dolo eventuale (l’accettazione nella condotta del rischio del verificarsi dell’evento) perché quando spinse il piede sull’acceleratore per passare sopra il corpo di Belardinelli, caduto a terra, era “consapevole” che avrebbe potuto ucciderlo. E’ con questa argomentazione che i magistrati hanno invocato 16 anni di reclusione per Manduca. Una richiesta severissima se si considera che il processo si sta svolgendo con la modalità del rito abbreviato, formula che prevede lo sconto di un terzo della pena.

La tragedia si verificò il 26 dicembre del 2018 in via Novara, poco lontano dallo stadio di San Siro, prima della partita Inter-Napoli, durante l’esplosione di scontri tra ultras, scontri che ebbero inizio a causa di un gruppo ultrà di interisti cui si unirono anche alcuni ultrà del Varese, gemellati coi nerazzurri. Le ‘vittime’ designate erano i supporter del Napoli. ‘Dede’ Belardinelli, ultrà del Varese (tifoseria gemellata con quella interista) e che aveva assunto cocaina quella sera, nella prima fase della guerriglia in via Novara, secondo la relazione, colpì con un bastone il finestrino di un’auto in testa alla carovana dei tifosi napoletani, che si stavano dirigendo verso il Meazza e che subirono l’agguato degli ultrà interisti, affiancati anche da supporter alleati del Nizza. Belardinelli, dopo aver sferrato quel colpo, cadde a terra rompendosi una clavicola e a quel punto Manduca (in macchina con altri quattro) con il suo Kadjar, secondo l’accusa, accelerò e schiacciò l’ultrà del Varese. Una circostanza provata, stando alla consulenza tecnica richiesta dai pm Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri e firmata da esperti (tra cui la nota anatomopatologa Cristina Cattaneo), da una traccia di sigillante trovata sul giubbotto della vittima, lo stesso sigillante utilizzato dal costruttore per il pianale inferiore del Kadjar.

Dal canto suo Manduca ha sempre respinto l’accusa di omicidio: «Non ho investito nessuno, sono solo fuggito spaventato perché intorno all’auto avevo una trentina di persone. E se ho investito qualcuno, non me ne sono accorto», ha detto. La difesa, rappresentata dall’avvocato Eugenio Briatico, ha chiesto l’assoluzione di Manduca per mancanza di prove. In subordine è stata avanzata richiesta di derubricazione del reato in omicidio stradale o preterintenzionale e col riconoscimento della scriminante dello “stato di necessità” per la situazione di “pericolo” che si era creata negli scontri. Nel processo sono parti civili la madre di Belardinelli col legale Gianmarco Beraldo, la moglie e la figlia, rappresentati dall’avvocato Paolo Bossi.

lunedì, 2 Novembre 2020 - 20:44
© RIPRODUZIONE RISERVATA