Giudici onorari, protesta «del pane e delle rose» a Napoli. Falciano (Assogot): «Noi, lavoratori dello Stato ma senza tutele»

Flash mob dei giudici onorari a Napoli, al centro l'avvocato Anna Cristina Falciano (10 dicembre 2020)
di Bianca Bianco

«Vogliamo il pane e le rose» gridavano 108 anni fa le operaie di Lawrence, nel Massachusetts, in rivolta per salari equi e condizioni lavorative più umane. Oggi quello slogan, che è il verso più celebre di una poesia di James Oppenheim, è stato mutuato dai lavoratori della magistratura onoraria, i Got (giudici onorari di tribunale), i Goa (giudici onorari aggregati) e i Vpo (viceprocuratori onorari) che protestano per ottenere maggiori tutele e un trattamento economico e previdenziale degno di una prestazione professionale resa allo Stato e su cui oggi si regge il 60% dei giudizi civili e penali in Italia.

La rivolta dei magistrati onorari non è iniziata oggi, è da anni che chiedono maggiori tutele nell’esercizio della loro professione, ma è esplosa durante la prima fase della pandemia, quando anche all’opinione pubblica è balzato agli occhi il paradosso di questi lavoratori ‘dello Stato’ che non avrebbero avuto diritto ad assenze retribuite se si fossero ammalati di Coronavirus mentre si trovavano in servizio; ed esplode oggi, nella fase altrettanto complicata dell’emergenza sanitaria, grazie all’eclatante protesta di alcuni di loro.

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A Palermo Vincenza Gagliardotto e Sabrina Argiolas, cui poi si aggiunta Giulia Bentley, sono in sciopero della fame. Un gesto estremo, cui è seguita la solidarietà dei colleghi in tutta Italia. I giudici onorari hanno deciso di fermarsi, di scioperare come quegli operai del 1912, e di mandare in tilt i sistemi giudiziari locali. L’eco di queste azioni è risuonata anche nel Palazzo di Giustizia di Napoli, altri giudici onorari hanno raccolto il testimone dei colleghi palermitani iniziando lo sciopero della fame e, come dinanzi ad altri Tribunali italiani, questa mattina hanno inscenato un flash mob davanti a quello di Napoli. Una rosa e un codice in mano, la toga indosso, per chiedere la riforma delle condizioni economiche e ordinamentali della categoria e per manifestare contro il silenzio delle istituzioni, in primis del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

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Anna Cristina Falciano di AssoGot è uno di questi magistrati onorari che affianca alla libera professione di avvocato l’impegno in Tribunale. Spiega i motivi del flashmob ricordando le condizioni sue e dei suoi colleghi: «Si lavora a cottimo (98 euro lordi ad udienza e non a sentenza, ndr) – afferma – con le cosiddette indennità di udienza. L’impegno extra non viene retribuito, non ci sono coperture previdenziali o in caso di malattia. Sì, siamo come dei lavoratori autonomi ma con la differenza che noi lavoriamo per lo Stato e in maniera continuativa, con continue proroghe dei contratti ma senza alcuna tutela».

L’impegno extra di cui parla Anna Cristina Falciato è l’ossatura del contributo dei magistrati onorari nel sistema giudiziario italiano, perché grazie a questa categoria di lavoratori della Giustizia si riesce a mandare avanti l’enorme carico di pendenze civili e penali che altrimenti si arenerebbero. «Abbiamo lavorato con ogni condizione – continua l’avvocato Falciano – E durante l’emergenza Coronavirus abbiamo due possibilità: o lavorare senza alcuna tutela, o stare a casa senza retribuzione. Se ci sia ammala, e ricordo che un collega ha perso la vita, non c’è alcuna copertura».  

Che la loro posizione sia assimilabile a quella di dipendenti statali lo ribadito anche la giustizia europea con una decisione rimasta inascoltata in Italia che resta aggrappata ad un sistema che appare inamovibile nonostante tentativi di riforma. Quella denominata ‘Orlando’ è congelata, il disegno di legge firmato da Valente (Pd) ed Evangelista (M5s) per modifiche a quella riforma è arenato. Nel frattempo, il ministero tace: «Bonafede è assente su questa come su altre problematiche relative alla giustizia – spiega Falciano – A lui chiediamo di dare un segnale». Perché i magistrati onorari hanno diritto «non solo al pane ma anche alle tutele, essendo lavoratori sfruttati dal proprio datore di lavoro, lo Stato, per cui chiedono a gran voce le rose e tutte le tutele giuslavoristiche che sono loro dovute».

giovedì, 10 Dicembre 2020 - 18:30
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