Contrada, la Corte di Cassazione annulla il risarcimento danni da ingiusta detenzione per l’ex uomo dei servizi segreti


Bruno Contrada, l’ex capo della Squadra mobile di Palermo, già numero 3 del Sisde, condannato in via definitiva nel 2007 a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, subisce un nuovo capitolo della sua lunga e tortuosa vicenda giudiziaria. La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, accogliendo i ricorsi della procura generale di Palermo e dell’Avvocatura di Stato, ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza che gli ha riconosciuto lo scorso 6 aprile il risarcimento per ingiusta detenzione. Risarcimento riconosciuto dalla Corte d’Appello di Palermo e quantificato in 667mila euro, disposto a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva riconosciuto come non eseguibile la condanna (scontata) a 10 anni per quel reato; quel verdetto, risalente al 2015, contestava che all’epoca in cui secondo l’accusa Contrada, oggi 90enne, aveva compiuto i reati ascrittigli (1979-1988) il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non esisteva, perché fu definito solo nel 1994.

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La sentenza della Corte europea costuì la base del ricorso per il risarcimento presentato dai legali di Contrada, risarcimento riconosciuto lo scorso aprile e ‘cassato’ ora dalla Suprema Corte che ha rinviato la questione alla Corte di Appello di Palermo. Nato a Napoli ed entrato in polizia quando aveva 27 anni, Contrada si distinse per la brillante carriera svolta in Sicilia tanto che nel 1982 iniziò a lavorare per i servizi segreti civili (SISDE) e nel 1986 divenne il terzo dirigente dell’agenzia in ordine di importanza. Poi, d’improvviso, tutto fu cancellato e messo in discussione dalle vicende giudiziarie che lo hanno investito.

Dopo la condanna definitiva a 10 anni, Contrada cercò di ottenere la revisione del processo ma senza successo: il ricorso fu dichiarato inammissibile. Così Contrada si rivolse alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Nel 2015 i giudici della Cedu hanno condannato l’Italia a risarcire il funzionario, nel frattempo radiato dalla polizia, sostenendo che non andava processato né condannato perché il reato di concorso esterno in associazione mafiosa ha assunto una dimensione chiara e precisa solo con la sentenza Demitry, del 1994.

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venerdì, 22 Gennaio 2021 - 11:37
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