Mafia, 23 arresti: coinvolti boss, avvocatessa e due poliziotti. I pm: «Nello studio legale i summit dei capiclan»

carabinieri ros

I capi della Stidda si ritrovavano nello studio di un’avvocatessa per discutere degli affari di Cosa Nostra. Nello studio, rassicurati dalla stessa penalista di Canicattì, discutevano per ore ritenendo di non poter essere intercettati. E’ stato invece proprio anche grazie alle registrazioni delle conversazioni avvebute durate quei summit a consentire ai carabinieri del Ros di chiarire molte delle dinamiche interne ai clan, i loro assetti e di comprenderne storia ed evoluzione dalla viva voce degli stessi protagonisti. Materiale utilissimo alla identificazione non solo di storici boss ancora ‘in servizio’ ma anche di personaggi secondari sinora sconosciuti agli inquirenti.

E’ questo uno dei retroscena dell’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, che questa mattina ha portato all’esecuzione – da parte dei militari del Ros – di un decreto di fermo nei confronti di 23 persone; l’operazione ha riguardato le province di Agrigento, Palermo, Trapani e Caltanissetta; gli indagati sono ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione e altri reati aggravati perché commessi con l’obiettivo di agevolare le associazioni mafiose.

Tra i coinvolti, oltre all’avvocatessa Angela Porcello (una penalista di Canicattì legata sentimentalmente a un imprenditore già condannato per associazione mafiosa), anche capimafia e boss della Stidda, un ispettore, e un assistente capo della polizia di Stato, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio.

Era proprio l’avvocatessa, secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti, ad avere assunto un ruolo di vertice in Cosa Nostra: organizzava i summit, fungeva da consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. E dava ospitalità ai capiclan nel suo studio, rassicurandoli nella impossibilità di fare intercettazioni nel suo studio. La legale, che difendeva diversi clienti accusati di mafia, avrebbe ospitato gli incontri per due anni offrendo come ‘garanzia’ di intoccabilità del suo studio il fatto che la legge vieti le attività investigativi negli uffici degli avvocati.

Dalla mole di intercettazioni, durate due anni, è emerso che i capimafia agrigentini avevano «un’attuale e segretissima rete di comunicazione con il latitante Messina Denaro e lo riconoscevano unanimemente come l’unico a cui spetta l’ultimo parola». Messina Denaro, latitante da 28 anni, è ancora dunque un punto di riferimento dentro Cosa Nostra. E il suo nome compare nel decreto di fermo eseguito questa mattina.

martedì, 2 Febbraio 2021 - 08:03
© RIPRODUZIONE RISERVATA