Crollo di rampa Nunziante, la difesa dei 2 penalisti imputati: «Non creiamo anche vittime della giustizia, vanno assolti»

di Roberta Miele

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«Non creiamo vittime della giustizia, perché non avrebbero nessun senso. Non onorerebbero le vittime reali del crollo». Con questo appello termina, nella giornata di ieri (17 marzo), la lunga e complessa arringa dell’avvocato Elio D’Aquino in difesa della di Massimiliano Lafranco e Roberto Cuomo, imputati nel processo per il tragico crollo della palazzina di rampa Nunziante a Torre Annunziata, che il 7 luglio 2017 seppellì otto persone tra cui due bambini.

E vittime della giustizia sarebbero i due accusati, secondo il legale, se il Tribunale accogliesse le istanze di condanna a nove anni e otto mesi di reclusione per omicidio e crollo colposi formulate dalla procura oplontina, rappresentata dalla pm Andreana Ambrosino. «Assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Nessuna subordinata, per fede e convinzione»: è la richiesta dell’avvocato D’Aquino in favore di Massimiliano Lafranco, che il 15 ottobre 2018 aveva incassato un’archiviazione e lo stesso giorno si è visto riaprire le indagini a suo carico per le dichiarazioni rilasciate agli inquirenti dal teste Mario Menichini. Dichiarazioni che il testimone ha rilasciato anche in Aula all’udienza del 13 novembre 2019.

Menichini, tra le altre cose, ha raccontato della discussione tra Lafranco e Cuccurullo a causa di alcune crepe formatesi lungo le pareti e l’impossibilità di chiudere gli infissi. Cuccurullo minacciò anche di chiamare i carabinieri poiché si vide negare l’accesso all’appartamento al secondo piano da parte degli operai. Una narrazione del tutto distorta, secondo la difesa, così come tutte le affermazioni di Menichini che non trovano alcun riscontro. Circostanze che lo rendono «inattendibile perché incoerente e illogico sotto il profilo delle sue ricostruzioni narrative. Menichini non ha riscontri nemmeno rispetto a quello che dice, di fatto è smentito su tutti i fatti in questo processo».

Lafranco, in ogni caso, «non era in alcuna posizione di garanzia rispetto all’immobile». Proprietaria era la moglie Rosanna Vitiello e la figura del «proprietario di fatto» non esiste né tantomeno si può parlare di intestazione fittizia alla consorte, insiste il legale: «Mi pare che Vitiello abbia utilizzato il suo conto, gli assegni erano a suo nome. Lafranco si occupava di pagare tasse e bollette». E, soprattutto, dopo la stipula del preliminare di vendita, il promissario acquirente Gerardo Velotto si è immesso nel bene, quindi ne è diventato il custode. Per questo Lafranco non è il garante dell’appartamento che ha causato il crollo. Infine, quanto all’incontro di Lafranco organizzato dal notaio Di Liegro pochi minuti dopo il crollo l’avvocato D’Aquino ha commentato con durezza: «Scagli la prima pietra chi nella vita difronte ad una minaccia una paura, un’emergenza ha reagito sempre in maniera sensata. Non so se ci sia qualcuno in quest’Aula».

E non ha nessuna responsabilità, per il legale, nemmeno l’avvocato e collega di Massimiliano Lafranco, nonché amministratore del palazzo, per il quale chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste o, in subordine, perché non costituisce reato. «Roberto Cuomo è già una vittima psicologica del crollo, a prescindere dal verdetto»: è un «amministratore diligente che ha innescato i meccanismi di controllo sul palazzo senza averne le competenze tecniche». Punto per punto, testimonianza per testimonianza, la difesa ha scardinato la ricostruzione della procura, per la quale l’imputato era a conoscenza dei lavori al secondo piano che sarebbero la causa del cedimento. «Cuomo alla riunione di condominio del 6 luglio arriva sul posto ed evidenzia una serie di criticità così oneste e spontanee che vengono utilizzate dal consulente della procura, il professor Augenti – continua l’avvocato D’Aquino – Come tutti gli imputati va all’incontro pensando di discutere dei lavori condominiali, non ci sono prove che fossero già a conoscenza di problemi strutturali».

L’accusa, durante la requisitoria, ha sostenuto che Cuomo, considerata la situazione, avrebbe dovuto chiedere i titoli abilitativi a Velotto e chiamare i vigili del fuoco. «I titoli li ha chiesti, ma i vigili del fuoco – chiosa il legale – avrebbero chiamato Giacomo Cuccurullo, deus ex machina della sicurezza dell’edilizia privata che era presente alla riunione e che nemmeno aveva percepito la gravità della situazione insieme a Bonzani e Manzo». «Ebbene, doveva capirlo un avvocato penalista attraverso una serie di potenzialità paramagiche e doveva capire anche della incompetenza dei tecnici presenti», incalza.

Prima di quel pomeriggio, Cuomo non sapeva nulla: «Non c’è traccia di un elemento investigativo che qualcuno si sia lamentato con l’amministratore». I coniugi De Felice e Duraccio sono stati smentiti da tutti gli altri testi: «A metà maggio si sono lamentati della polvere forse causata dai lavori al primo piano, non di quelli al secondo perché all’epoca ancora dovevano iniziare». La tesi della procura per cui «tutti sapevano tutto» sulla base delle chat trovate sul cellulare di Giacomo Cuccurullo, invece, è solo un coacervo di suggestioni. «I cellulari di Cuomo e Lafranco non sono mai stati sequestrati né le conversazioni hanno valenza: suggestionano, demonizzano, ma non dimostrano nulla. Velotto non viene mai citato dal 15 maggio. Qual è la consapevolezza rispetto ai lavori?».

giovedì, 18 Marzo 2021 - 11:09
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