Pd, il capogruppo al Senato Marcucci non vuole lasciare il posto a una donna: «Coerenza, perché segretari solo uomini?»

Andrea Marcucci

Che Enrico Letta non avesse un compito facile, era già noto. Il neo segretario, richiamato da Parigi per ricostruire il Partito democratico dopo le dimissioni a sorpresa di Nicola Zingaretti, si trova già alle prese con la patata bollente delle nomine. Andato via Zingaretti, rifatto il look alla segreteria con 16 nomi (8 donne e 8 uomini), la prassi vorrebbe che cambino anche i capigruppo alla Camera e al Senato. E, sulla spinta delle polemiche sulla parità di genere che hanno travolto il Pd all’atto di nascita del nuovo Governo Draghi (i Dem hanno 3 ministri, tutti maschi), si voleva un cambio di passo in rosa. Ma sulla sua strada Letta sta incontrando le resistenze dell’attuale capogruppo al Senato Andrea Marcucci, su cui pesa il peccato originale dell’amicizia fraterna con l’ex Matteo Renzi. Marcucci  dovrebbe cedere il posto a Simona Malpezzi, già sottosegretario (e che quindi dovrebbe dimettersi).

Un nodo difficile da sbrogliare vista la posizione dell’attuale capogruppo che si è preso del tempo per decidere. Tempo ne ha però fino a giovedì, quando potrebbe decidere di ricandidarsi e dunque di non arretrare come gli è chiesto di fatto dalla segreteria. Tutto liscio invece alla Camera dei deputati, dove Giuliano Delrio sarebbe disponibile invece a dare spazio a Debora Serracchiani o a Marianna Madia.

«Mi prenderò 24 ore per decidere cosa fare – ha scritto Marcucci su facebook dopo l’assemblea dei senatori introdotta da Letta –  e lo farò come sempre ho fatto in questi anni, parlando con i miei colleghi ed anche questa volta deciderò con loro, non deciderò da solo».

Secondo quanto emerso durante l’assemblea, Marcucci avrebbe ribattuto alla richiesta di parità di genere con una provocazione: «Io voglio coerenza, bisogna interrompere la tradizione di avere segretari sempre uomini».

Poi si difende: «Se il Pd in Senato ha ancora un gruppo di 36 senatori, credo che un po’ sia anche merito mio – afferma – Ho contribuito alle dimissioni di Zingaretti? In nessun modo, anche perché come dissi a caldo, sono tra coloro che non le ha capite.  Ma credo, credo fortemente, in un partito libero, che discute, litiga, si confronta, e si conta. Siamo gli unici a farlo, ed io ripeto, ne sono orgoglioso. Volete un partito del capo, dove non si discutono le decisioni del capo? Il Partito Democratico non sarà mai così».

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mercoledì, 24 Marzo 2021 - 09:45
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