Terreni incolti usati per coltivare droga, la longa manus della ‘ndrangheta nello spaccio di marijuana: sette indagati

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Terreni incolti della Piana di Gioia Tauro trasformati in ‘piantagioni’ di marijuana. Un sistema collaudatissimo di coltivazione e vendita (quest’ultima affidata anche a ragazzi minorenni) messo in piedi da un vero e proprio sodalizio criminale costituito da persone tra loro imparentate e con legami con la ‘ndrangheta. L’organizzazione è stata sgominata dai carabinieri nell’ambito dell’operazione ‘Dioniso’ che questa mattina ha portato all’esecuzione di 7 ordinanze di misura cautelare: 5 persone sono finite in carcere, una ai domiciliari, una ha l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Nei loro confronti l’accusa è, a vario titolo e in concorso, di coltivazione, detenzione, vendita e acquisto di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.

I destinatari della misura cautelare, quasi tutti già gravati da precedenti di polizia, anche specifici, e originari della Provincia di Reggio Calabria, sono:

  1. BONO Fabio, 42enne di Taurianova;
  2. SICARI Giuseppe, 33enne di Taurianova;
  3. BIANCO Giuseppe, 40enne di Africo;
  4. CRIACO Bruno, 65enne di Africo;
  5. FERRARO Angelo, 49enne di Palizzi, sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria;
  6. MESSINA Fabio, 31enne di Brancaleone, sottoposto agli arresti domiciliari
  7. STELITANO Bruno, 70enne di Africo.

L’indagine
L’inchiesta, condotta dai carabinieri di Taurianova coordinati dalla Procura di Palmi, ha riguardato le attività del gruppo criminale dal gennaio del 2019 al maggio del 2020 ed è partita dal sequestro di un quintale di marijuana in un’abitazione di Amato, frazione di Taurianova; l’abitazione era nella disponibilità di Antonino Sorrenti, arrestato in flagranza di reato. Partendo dall’ingente sequestro, i militari hanno dato la stura alle successive indagini, fino a risalire alla genesi della presenza di quel carico di droga nell’abitazione. Secondo gli inquirenti, era stato commissionato e gestito dallo zio dell’arrestato, Giuseppe Sorrenti (nel frattempo deceduto) ed era destinato a Giuseppe Bianco.

La complessiva indagine ha però permesso di far luce sull’esistenza di un più ampio gruppo criminale, composto da soggetti gran parte pregiudicati operanti nella Provincia di Reggio Calabria, dedito alla produzione, detenzione e commercio di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, con principale base in un capannone industriale a Rizziconi, di proprietà di Giuseppe Sorrenti, che ha rappresentato un importante luogo di incontro e di accordi illeciti del gruppo. Gli indagati hanno utilizzato anche terreni in disuso nella Piana di Gioia Tauro per la coltivazione di estese piantagioni di marijuana, una delle quali è stata rinvenuta e sequestrata dai Carabinieri della Compagnia di Taurianova in una zona rurale di Cittanova nel luglio 2019, quando furono arrestati in flagranza quattro giovani taurianovesi,  Giuseppe Startari, Giuseppe Sicari, Carmelo Avati e Paolo Monterosso, sorpresi a curare circa 3.200 piante di marijuana dalle quali, come emerso dai successivi accertamenti tecnici, sarebbero state ricavate oltre 541.000 dosi medie singole di stupefacente.

Gli arrestati avevano il compito di coltivare le piante per conto, sostengono gli investigatori, di Giuseppe Sicari e Giuseppe Sorrenti, dominus degli affari: entrambi sono considerati gli intermediari sul mercato della droga con la collaborazione degli altri indagati.

Nel corso delle attività, infatti, tra i pregiudicati dei due versanti della provincia reggina sono stati documentati molti accordi illeciti di compravendita di vari quantitativi di stupefacente del tipo marijuana (fino a 150 chilogrammi per cessione) da immettere nel mercato nazionale, nonché singole vendite al dettaglio, sia di marijuana ma anche di cocaina, ad indicazione di una diversificata disponibilità di droga e una pluralità di canali di approvvigionamento e vendita.

 Significativa in tale contesto il ruolo del brancaleonese Fabio Messina, il quale, in più circostanze, ha ceduto svariati quantitativi di sostanza stupefacente agli altri indagati, in qualità di «affidabile soggetto ben inserito nella rete di spaccio». Solo pochi giorni prima dell’ operazione, Messina è stato tratto in arresto in flagranza di reato insieme alla moglie venticinquenne Valentina Bevilacqua, dai carabinieri a Bianco in quanto, fermato a bordo della sua macchina mentre era in viaggio con i figli minorenni, è stato trovato in possesso di circa 200 grammi di cocaina, ben occultati all’interno di una scatola di riso.

Gli indagati hanno operato in maniera professionale e imprenditoriale, evitando conversazioni telefoniche anche per semplici incontri al fine di eludere le investigazioni e, prima di giungere all’accordo conclusivo di una cessione, venivano spesso consegnati campioni di sostanza stupefacente presso il capannone industriale di Rizziconi – monitorato h-24 dai carabinieri della Stazione di San Martino di Taurianova – persino tramite minorenni. Tra l’altro, alcuni degli indagati sono legati tra di loro da legami di parentela a conferma dell’esistenza di una struttura fondata su forti ed impermeabili vincoli di sangue.

I legami con la ‘ndrangheta
Alcuni degli africesi arrestati sono ritenuti contigui per vincoli di parentela e frequentazioni con soggetti appartenenti alla locale cosca di ‘ndrangheta Morabito-Bruzzaniti-Palamara, a conferma della loro pericolosità.  Nel corso dell’attività, significativo anche l’arresto di Antonio Stelitano ritenuto contiguo alla cosca, figlio di Bruno, il quale, nel maggio del 2019, era evaso dai domiciliari per fuggire e trovare rifugio a Roma, dove, in breve tempo, è stato però individuato, localizzato e catturato, proprio su indicazione dei carabinieri della Stazione di San Martino di Taurianova, grazie al monitoraggio svolto nel corso dell’attività.

mercoledì, 21 Aprile 2021 - 10:01
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