Palamara e Fava imputati, l’avvocato Amara chiede di essere parte civile nello scandalo che travolse il Csm: no del gup

Luca Palamara
Luca Palamara al centro dello scandalo sulle toghe

L’avvocato siciliano Piero Amara, arrestato martedì scorso per corruzione in atti giudiziari nell’ambito di un’inchiesta della procura di Potenza sull’ex Ilva di Taranto, non sarà parte civile all’udienza preliminare che vede sul bianco degli imputati l’ormai ex pm Luca Palamara e il già pm di Roma Stefano Rocco Fava.

Il gup di Perugia, Angela Avila, ha infatti respinto la richiesta di costituzione di parte civile. Amara aveva tentato di essere presente in giudizio in relazione a una precisa accusa contestata ai due imputati: Palamara e Fava sono accusati, tra le altre cose, di avere rivelato ad alcuni giornalisti notizie «d’ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete», tra queste il fatto che l’avvocato Piero Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale e che nei suoi confronti Fava aveva predisposto una misura cautelare per la quale però «non era stato apposto il visto». Nella scorsa udienza sono stati ammessi invece come parti civili il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, assistito dall’avvocato Filippo Dinacci, il ministero della Giustizia e l’associazione Cittadinanzattiva.

Palamara e Fava rispondono di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio. Accuse pesantissime al centro della famosa inchiesta che ha terremotato il Consiglio superiore della magistratura e ha aperto una ferita, non ancora senato, nel mondo di giudici e pm. Accuse che hanno contribuito allo stravolgimento della carriera dei due magistrati: Palamara è stato espulso dal Consiglio superiore della magistratura ed ha dovuto rinunciare alla toga, mentre Fava non è più pm ed è stato trasferito a Latina dove ora è giudice civile.

In particolare Fava è accusato di essersi «abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento». Fatto che secondo i pm avveniva «per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita». Il suo obiettivo, secondo l’atto di richiesta di rinvio a giudizio “era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell’aggiunto Paolo Ielo «da effettuarsi anche con “l’ausilio” di Palamara a cui consegnava tutto l’incartamento indebitamente acquisito».

A Fava e Palamara viene contestato anche il concorso in rivelazione e l’utilizzazione di segreti d’ufficio «perché rivelavano ai giornalisti dei quotidiani Il Fatto Quotidiano e La Verità notizie d’ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete», ossia le notizie relative a Piero Amara. Solo per Fava c’è anche l’accusa di abuso d’ufficio perché avrebbe acquisito atti di procedimenti penali «”per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’allora procuratore Pignatone» e «effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l’apertura di un procedimento penale a Perugia” e quindi “a cagionare agli stessi un danno ingiusto».

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venerdì, 11 Giugno 2021 - 13:13
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