L’azienda statunitense scarica definitivamente i lavoratori dello stabilimento napoletano di via Argine con una Pec inviata ai sindacati, nel resto d’Italia – da Nord a Sud – si preannuncia un autunno caldo per altre vertenze. Da quella, datata, di Embraco a Torino fino alla più recente: la Gkn di Campi Bisenzio (Firenze).
Per quanto riguarda Whirlpool Napoli, come scritto in un altro articolo, la situazione da parte della multinazionale statunitense appare definitiva. Licenziamenti dopo i 75 giorni concessi per eventuali ricollocazioni dei dipendenti in esubero; niente cassa integrazione ordinaria o straordinaria. Le ragioni? Sono chiarite dagli stessi vertici nella mail inviata alle organizzazioni sindacali e firmata dall’amministratore delegato Luigi La Morgia. Il calo della domanda di lavatrici di alta gamma Premium, prodotti a Napoli, è «drastico» in tutto il mondo; una situazione che, si sottolinea, non poteva essere prevista quando fu sottoscritto il piano industriale (il 25 ottobre del 2015) e incancrenitasi nonostante gli «ingenti investimenti realizzati negli ultimi dieci anni per circa 100 milioni di euro e le nuove strategie commerciali messe in atto dal 2009 al 2020» perché «i volumi di produzione del sito si sono ridotti da circa 700mila a meno di 200mila pezzi annui con un calo delle vendite nel primo semestre del 2019 pari al 36% a livello di export internazionale e del 19% nella sola area Ema. Nel 2020 si è assistito al protrarsi del calo dei volumi e nella sola regione Emea si è registrata una ulteriore riduzione delle vendite pari al 15%».
Con una produzione così calata, il sito di via Argine non è più «sostenibile», per esserlo dovrebbe produrre più di 660mila unità all’anno. Con queste premesse, non ci sono soluzioni. L’unica sarebbe la cessione ad un altro operatore industriale, ipotesi che «non è stata presa in considerazione dalle organizzazioni sindacali».
Infine: i dipendenti napoletano non possono essere riallocati in altre sedi Whirlpool italiane perché privi delle «competenze tecniche necessarie all’esecuzione delle lavorazioni in essere negli altri stabilimenti italiani senza l’attuazione di interventi formatici, organizzativi, logistici e talmente costosi e complessi da compromettere l’efficiente svolgimento dell’attività aziendale, finendo per generare una situazione di squilibrio strutturale».
Questo è quanto. Poi ci sono le altre vertenze. La più recente, scoppiata la scorsa settimana, riguarda l’azienda di automotive Gkn di Campi Bisenzio che ha 422 lavoratori. Dipendenti licenziati via Whatsapp per i quali il tavolo di confronto avviato nei giorni scorsi al Mise non ha dato esiti positivi. «C’è un percorso che si deve fare, ci sono azioni da mettere in campo – ha affermato la sottosegretaria al Mise Alessandra Todde. Il tavolo non è chiuso, ha rassicurato, ma l’azienda inglese intanto ha confermato di voler chiudere lo stabilimento perché – ed ecco ritornare il mantra che è anche della Whirlpool – «non più sostenibile». Un comportamento, quello di Gkn, definito arrogante e inaccettabile da più parti. La partita comunque è ancora aperta.
La questione Embraco di Torino: 410 lavoratori a rischio e con la cassa integrazione che scade il 22 luglio. Avranno per sei mesi la cassa integrazione straordinaria per cessazione, secondo l’ultima decisione del Consiglio dei Ministri che si è così imposto sulla contrarietà della curatela fallimentare. Sempre il Cdm ha approvato una seconda norma che permetterà all’ex Ilva di accedere alle tredici settimane di cassa integrazione in considerazione della rilevanza strategica dell’azienda. Così il governo ha deciso di intervenire a tutela dei lavoratori, dopo lo sblocco dei licenziamenti di fine giugno.
venerdì, 16 Luglio 2021 - 09:27
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