Violenze nel carcere di S. Maria Capua Vetere, i pm: «Processo per 108». C’è anche l’omicidio colposo di un detenuto

Cella Carcere

La procura procede a passo spedito e chiede il processo sulle violenze nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Vetere avvenute il 6 aprile del 2020. Sono 108 le persone a rischio processo e le accuse contestate a vario titolo sono pesantissime: tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e depistaggio. In 12 dovranno rispondere anche di omicidio colposo, perché ritenuti responsabili di avere determinato la morte del detenuto Lamine Hakime, l’algerino 28enne pestato a sangue e lasciato morire senza avergli prestato assistenza medica per le botte inflitte.

L’udienza preliminare si aprirà il 15 dicembre dinanzi al giudice Pasquale D’Angelo. La location sarà l’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere, la sola adatta ad ospitare un numero così elevato di imputati e di avvocati.

Tra le persone sul banco degli imputati ci saranno decine di agenti della Polizia penitenziaria che quel giorno erano in servizio ma anche l’ex numero uno del Provveditorato delle carceri in Campania Antonio Fullone; l’ex comandante del Nucleo operativo di Avellino, Tiziana Perillo; l’allora comandante del Nucleo operativo del centro penitenziario di Secondigliano e vertice del gruppo di ‘Supporto agli interventi’ Pasquale Colucci; l’ex responsabile del Nucleo di Santa Maria Capua Vetere Nunzia Di Donato; il commissario capo responsabile del reparto Nilo Anna Rita Costanto; l’ex capo della Penitenziaria a Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli.

Agli atti ci sono le denunce di alcuni detenuti che hanno innescato l’inchiesta, le immagini dei pestaggi catturate dalle telecamere installate nel carcere (alcuni agenti disattivarono invano i monitor durante la ‘spedizione’ credendo che le telecamere non avrebbero continuato a riprendere), ma anche le chat tra alcuni agenti della penitenziaria (qualcuno scrisse: «Pagheremo tutti…»). Per la procura quelle violenze furono una rappresaglia contro i detenuti che in quel periodo stavano protestando, come accadeva in altri penitenziari, per le restrizioni anti-Covid. Di più: ai vertici della Penitenziaria erano tutti perfettamente consapevoli della ‘spedizione punitiva’. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Alessandro Milita, dai pm Maria Alessandra Pinto e Daniela Pannone che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio.

lunedì, 15 Novembre 2021 - 09:28
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