Una ‘rivoluzione’ tutto sommato positiva, anche se sul terreno della prescrizione e dei processi ancora troppo lunghi ci sarebbe da lavorare. Con più coraggio e meno timori verso la pancia del paese. Soprattutto con meno remore verso i magistrati, i cui «timori», quando all’orizzonte vi sono riforme a loro non congeniali, «spesso sono infondati».
Nicolas Balzano, avvocato di lungo corso del foro di Torre Annunziata e già presidente della Camera penale oplontina nonché attuale componente della giunta dell’Unione delle Camere penali italiane, analizza la riforma della Giustizia firmata dal Guardasigilli Cartabia. E ‘tira per le orecchie’ Nino Di Matteo, il magistrato siciliano oggi in Consiglio superiore della magistratura, che in più di un’occasione pubblica ha lanciato strali e nei confronti dell’avvocatura.
Intervistato ad Atlantide su La7, il magistrato Nino Di Matteo ha osservato che occorrerebbe una legge sul conflitto di interessi per impedire a un avvocato eletto in Parlamento di esercitare contestualmente. Questo perché, a suo dire, un avvocato potrebbe sfruttare il proprio ruolo istituzionale per sollecitare leggi in grado di incidere sulle accuse mosse a un proprio assistito. Cosa ne pensa?
«Se Di Matteo conoscesse la storia, saprebbe che l’Italia ha avuto due straordinari figure parlamentari: De Nicola e Porzio. Impeccabili galantuomini nell’avvocatura e nell’istituzione. L’avvocato difende la Costituzione, il diritto di difesa è un diritto costituzionale. Di Matteo muove dal convincimento di essere, in quanto magistrato, titolare della verità e che l’avvocato è dalla parte del torto. Perciò per lui gli avvocati sono persone riprovevoli che inquinano l’istituzione. Ma Di Matteo non è portatore di verità assolute e rifletta prima di esprimere bandi di proscrizione».
Un voto alla riforma della giustizia firmata dal ministro Marta Cartabia…
«Il voto va espresso in rapporto a questo Parlamento. Allora la riforma vale 8 o addirittura 9. Anzitutto va considerato che è stata realizzata in tempi brevi perché c’è stata l’urgenza di intervenire dato che lo ha sollecitato l’Europa. In secondo luogo va tenuto in considerazione che questa riforma si è cimentata con un Parlamento ancora formato dal 33% di discepoli di Bonafede. Alla luce di queste due circostanze si è ottenuto molto».
I magistrati si sono espressi in maniera assai critica nei confronti dell’improcedibilità dell’azione penale: temono che essa vanificherà numerosi processi in materia di criminalità organizzata. Cosa ne pensa?
«I timori dei magistrati non sono mai fondati. Piuttosto il nuovo regime della prescrizione andrà a creare una situazione tanto complessa che non sarà facile gestire. Dal 1 gennaio 2020 la prescrizione processuale (denominata ‘improcedibilità dell’azione penale’, ndr) entra immediatamente in vigore e si sovrappone alla prescrizione del reato. Con questo risultato: se il processo di primo grado interviene a pochissima distanza di tempo dal fatto reato, si rischia la prescrizione del reato da poco commesso. Se in caso di corruzione, si arriva a sentenza dopo 12 anni e 4 mesi, il reato – se commesso dopo il 2020 – non si prescrive più. Con questo meccanismo cancelliamo ipotesi di reato a distanza di breve tempo dal fatto storico, e autorizziamo la sopravvivenza del reato ai limiti della tollerabilità. Così la riforma non è del tutto soddisfacente».
In che modo bisogna intervenire secondo lei?
«Ci si deve concentrare sul tempo, non sul termine. I termini non possono essere rigidi. La riforma di Berlusconi, che secondo la vulgata ridusse i termini di prescrizione, aveva un pregio: aveva ancorato i termini di prescrizione a un dato oggettivo. Se la prescrizione è soggetta a termini malleabili, essa è tutt’altro che positiva».
L’obiettivo della riforma è rendere più spedita la giustizia penale. Secondo lei ce la farà?
«La prima criticità è l’ingiustizia del processo. Tutto ciò che viene fatto in nome di efficientismo aziendalistico senza promuovere le garanzie tende a un risultato non accettabile. Lo scopo del processo è consentire a chi è accusato di un fatto di potersi difendere. E non può patire alcuna compressione in nome dell’efficientismo aziendalistico. Altrimenti si abbia il coraggio di fare emettere condanne alle caserme dei carabinieri, così risolviamo tutti i problemi. Quando si parla di giustizia efficiente bisogna avere ben chiaro che l’imputato non può restare sulla graticola tutta la vita. Il processo è efficiente se perviene a sentenze in tempi ragionevoli».
Torniamo ai tempi lunghi della giustizia, perché i processi durano così tanto?
«Ci sono processi in corso da anni perché i pm non sanno seguire la strada della sintesi. Ci sono pm che interrogano i pentiti per 12 udienze, che chiedono ai pentiti di ricostruire la storia dei clan di cui hanno fatto parte anziché concentrarsi sui fatti oggetto del processo e così facendo i tempi si allungano a dismisura. Pensiamo, anche, al capitolo delle intercettazioni: si impegnano udienze su udienze per ascoltare i testi di pg. La pg viene a fare il lavoro del pm: ossia fa interpretazione del materiale intercettativo. Invece basterebbe una sola udienza per i testi di pg: si dovrebbe solo chiedere loro se hanno fatto o meno le intercettazioni. Queste sono alcune delle cause della irragionevole durata del processo, invece poi si dice che la colpa è dell’avvocato quando è acclarato che tutte le cause di rinvio che scaturiscono dalla difesa sono soggette al regime della sospensione della prescrizione».
In conclusione, la prescrizione è un istituto di cui non si deve a fare meno nel processo?
«Il rispetto dei diritti impone il pagamento di un costo. L’accettazione del costo deriva dall’obbligo morale di rispettare il principio. Vogliamo bearci di essere una nazione civile, ma poi si cerca di ricorrere a ogni strategia per vanificare il principio».
domenica, 12 Dicembre 2021 - 17:40
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