Clan Moccia, imprenditore con agganci nella politica e già condannato per rapporti con la ‘ndrangheta: il gip ‘boccia’ la Dda

intercettazioni
di Manuela Galletta

Un nome che ritorna negli atti giudiziari. E che, ancora una volta, viene collegato alla criminalità organizzata. Alzando un nuovo vespaio nel mondo della politica. Aniello Esposito, imprenditore 41enne di Afragola attivo nel settore dei rifiuti e con interessi anche nella gestione dell’ospitalità dei migranti, figura nel lungo elenco di indagati dell’inchiesta sul clan Moccia che ieri è sfociata nell’esecuzione di 59 ordinanze di custodia cautelare (tra carcere, domiciliari e divieto di contrattare con imprese).

Nei confronti di Esposito la Direzione distrettuale antimafia di Napoli aveva sollecitato un provvedimento cautelare contestandogli l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e ritagliandogli un ruolo di tutto rispetto: «Rappresenta l’ennesima figura di imprenditore strumentale del clan Moccia capace di traghettare la forza economica e mafiosa del sodalizio in lucrosi affari, nei più svariati settori, anche e soprattutto al di fuori della regione Campania, ed al contempo instaurare e implementare relazioni, patti e alleanze con i sodalizi mafiosi locali al fine di garantire al clan Moccia le condizioni più favorevoli per lo sviluppo indisturbato dei propri interessi».

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Ma il giudice per le indagini preliminari ha respinto la richiesta ritenendo allo stato carenti i gravi indizi di colpevolezza e, al contempo, sollecitando «una integrazione di indagine», che «appare necessaria quantomeno in termini chiarificatori».

Eposito resta dunque sotto i riflettori della procura, e con lui i suoi rapporti. Rapporti che, secondo la procura, lo legherebbero anche a pezzi della politica locale e nazionale sui quali – è la tesi inquirente – avrebbe fatto leva per tirare acqua al mulino dei Moccia. A consentirgli l’aggancio di personaggi della politica sarebbe stata sua moglie, Caterina Acri, un tempo tesserata con Fratelli d’Italia e già consigliere comunale e poi assessore della Pubblica Istruzione nella giunta (passata) di Claudio Grillo.

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Esposito, scrive la procura, avrebbe garantito «i rapporti con la classe politica, sia locale che nazionale, grazie ai propri personali rapporti con alcuni esponenti di essa nonché strumentalizzando l’attività politica di sua moglie, consigliere comunale al Comune di Afragola». Un personaggio di peso, Esposito. Chiacchierato e anche già al centro di altri problemi giudiziari. La Dda di Catanzaro l’ha indagato nell’operazione ‘Stige’ per rapporti con la ‘ndrangheta contestandogli di avere avuto un ruolo centrale nel business dei migranti: per questi fatti Esposito è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Crotone a 12 anni e 6 mesi (sentenza emessa nel febbraio 2021).

La storia e l’esito del verdetto vengono appunto menzionati nell’inchiesta sui Moccia perché la procura adombra il sospetto che Esposito possa avere replicato il modello della gestione dei migranti anche su Afragola, a vantaggio ovviamente delle casse del clan Moccia. Ma il gip esclude che un simile scenario alla luce degli elementi raccolti sin qui dalla procura. Non solo: il gip ritiene insussistente il quadro indiziario rispetto alle condotte principali attribuite ad Esposito, ossia quello di avere fatto da anello di collegamento tra le vittime del pizzo e la cosca. Scrive la procura: l’imprenditore avrebbe ricoperto «il delicato ruolo di intermediario tra diversi imprenditori sottoposti o da sottoporre ad estorsione e l’articolazione criminale del clan Moccia, occupandosi altresì di implementare e sostenere la presenza del clan nelle attività imprenditoriali da sottoporre a richieste estorsive, individuandole, stabilendo i contatti con gli imprenditori e anche raccogliendo il denaro frutto dell’imposizione».

Contro Esposito vi sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Esposito, rese tra il 2016 e il 2017: «è un imprenditore che sta sempre in mezzo alle estorsioni. Era lui che si metteva in mezzo per facilitare l’incasso delle estorsioni». Quindi il pentito riporta alcuni aneddoti a sostegno della sua affermazione: spiega che a un imprenditore attivo nel settore dei rifiuti fu imposta un’estorsione da 50mila euro e «lui si rivolse a Esposito perché facesse da intermediario con il clan per pagare di meno. E infatti l’estorsione fu ridotta a 25mila euro da pagare in tra tranche all’anno». Quindi racconta che ci sarebbe stata la mano di Aniello Esposito dietro l’incendio dei camion dell’immondizia di una ditta attiva ad Arzano che subentrò nel servizio proprio ad Esposito.

A sostegno delle accuse del pentito Esposito, la procura procede i racconti del collaboratore di giustizia Michele Puzio, al secolo esponente di spicco dei Moccia. Puzio conserva due ricordi di Esposito. Anzitutto, lo indica come una vittima di estorsione: «Gestiva gli immigrati, cioè li ospitava nelle case. Quando nel 2015 ero in difficoltà economica e non riuscivo a pagare gli stipendi vennero da me Raffaele o mostro e Gaetano: mi dissero che Esposito guadagnava un sacco di soldi e mi chiesero se avessi potuto chiedere il pagamento di un’estorsione. Fecero anche un appuntamento nel quale Esposito concordò il pagamento di 10mila euro al mese». Ma Esposito non pagò mai una sola rata, finendo così vittima di un agguato intimidatorio. «Prometteva somme di denaro ma non ci consegnava nulla. E venne sparato. Non so chi sparò». L’agguato si consumò il 25 luglio del 2016. Poi Puzio aggiunge di avere appreso da persone non meglio specificate che Esposito era divenuto «amico della famiglia Tuccillo» e in particolare di Domenico Tuccillo.

Chiude, infine, il materiale indiziario il contenuto di diverse intercettazioni a carico del defunto Gennaro Tuccillo (al tempo esponente di vertice del clan Moccia), cui Esposito era legato, e alcuni suoi familiari.
Ebbene, se per la procura questo compendio indiziario integra l’accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, per il giudice per le indagini preliminari invece non vi è un quadro indiziario concreto per legare Esposito agli interessi criminali dei Moccia. Circa le dichiarazioni rese dai due pentiti, il gip osserva che i racconti non si incastrano e si sostengono come ritiene la procura bensì si sconfessano: «Le dichiarazioni di Esposito non solo non trovano riscontro nelle dichiarazioni di Puzio, ma anzi in un certo senso risultano da queste sconfessate», scrive il gip. Quanto alle intercettazioni, il gip evidenzia che da essere emerge sì il rapporto di amicizia tra l’imprenditore e Domenico Tuccillo, figlio di Gennaro, ma non elementi a sostegno della figura e del ruolo di Esposito tratteggiati dal pentito Domenico Esposito.

«Nulla di quanto indicato soddisfa i canoni di giudizio in quanto da un lato non risulta sufficientemente riscontrato quanto riferito da Esposito, dall’altro non sono emersi sufficienti elementi per ritenere integrata la fattispecie di concorso eterno in associazione mafiosa», taglia corto il gip. Che poi riprende la Dda anche sulla formulazione del reato di concorso esterno in associazione mafioso, asserendo che non esiste neppure una condotta effettiva di concorso esterno come delineata dalla Giurisprudenza della Suprema Corte: «Non emerge la reciproca convenienza, consistente per il concorrente esterno nella possibilità di assicurarsi un cospicuo guadagno personale e per il sodalizio criminoso nell’assicurarsi soggetto disponibile a fare da tramite per qualsivoglia esigenza, attività necessaria anche per il buon esito di investimenti e, quindi, per l’ottenimento di cospicue utilità economiche (…) Manca la prova di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da reciproci vantaggi dal quale non si può prescindere e in ordine al quale appare necessaria una integrazione di indagine, quanto meno in termini chiarificatori».

giovedì, 21 Aprile 2022 - 12:03
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